Emily,
la sorridente bambina nella foto, è deceduta per influenza nel 2004.
Guardava la televisione in pigiama nel letto dei propri genitori, che
avevano programmato una visita medica per il giorno successivo, ma
improvvisamente è venuta meno all' affetto dei suoi cari. Non è un
caso isolato. Solo nell' ultima stagione negli stati Uniti, dove Emily viveva, sono morti 128 bambini.
L' influenza
rappresenta una patologia dalle rilevanti ricadute sul piano
sanitario e causa ogni anno dai 3 ai 5 milioni di casi severi in
tutto il mondo e 3-500000 morti. Nei paesi industrializzati le
conseguenze sono rilevanti sul piano sanitario per l' elevato numero
di ospedalizzazioni e di casi fatali che si registrano, in
particolare nei soggetti con più di 65 anni. Gli ambulatori e gli
ospedali spesso sono investiti, durante
i picchi di epidemia, da intensi carichi di lavoro che comportano un impiego ingente di risorse
umane ed economiche, a scapito della gestione di altre emergenze
sanitarie. Importanti sono anche le implicazioni sul piano sociale
per gli alti livelli di assenteismo lavorativo e la perdita di
produttività che ne consegue. Le ricadute nei paesi
sottosviluppati, pur non quantificabili con esattezza, sono consistenti,
con un impatto severo in termini di mortalità infantile. In uno
studio del 2011 vengono stimati in 28000-111500 i decessi annuali
legati all' influenza nel mondo in bambini con meno di 5 anni, il 99%
dei quali si registra nei paesi più arretrati.
La maggior
parte dei paesi ha in corso programmi di vaccinazione che
generalmente sono rivolti ai soggetti anziani e a quelli portatori di fattori di
rischio. Negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza che i
bambini rappresentano la principale sorgente di infezione per le
categorie deboli, in quanto si ammalano in percentuali elevate ( fino
al 30%), diffondono il virus in misura maggiore e per periodi più
prolungati rispetto agli adulti, sono più a stretto contatto tra di
loro e osservano meno le regole di igiene. Da questi presupposti
hanno preso il via programmi di vaccinazione allargati che vedono
nella vaccinazione universale estesa ai bambini un' arma potente per
limitare la circolazione del virus e proteggere indirettamente le
persone maggiormente a rischio. Diversi paesi hanno già abbracciato
questa scelta, tra cui gli Usa, l' Austria, la Slovacchia, la
Sassonia e, negli ultimi anni, l' Inghilterra. Altri paesi ( Canada,
Finlandia, Romania, Estonia, Slovenia) hanno deciso di riservare l'
offerta ai bambini più piccoli. Altri ancora, tra cui l' Italia, non
danno nessuna indicazione in merito, in quanto ritengono
insufficienti i dati a disposizione per poter affermare l' utilità e
la convenienza sul piano del costo-efficacia di questi programmi. In
effetti, rispetto agli adulti, le ricadute sulla popolazione pediatrica sono state oggetto
di un numero molto inferiore di indagini, ma in
questi ultimi anni qualcosa si è mosso e hanno
iniziato ad uscire dati interessanti. Da questi emerge chiaramente
che i bambini non hanno solo il ruolo di “untori” nei confronti
delle altre categorie deboli, ma sono spesso soggetti a complicazioni,
talvolta gravi, con frequenti ospedalizzazioni e anche casi fatali,
prevalenti nei bambini più piccoli ma che interessano anche
soggetti di età scolare.
Incidenza di
malattia
I primi studi
risalgono agli anni 60-80 ed erano intesi a valutare soprattutto la
morbilità, con una serie di valutazioni prospettiche e longitudinali
in ambito famigliare o di comunità, in cui ai dati di sorveglianza
clinica venivano associati i risultati sierologici e colturali. A
Tecumseh, nel Michigan, tra 100 e 300 famiglie
con almeno un bambino sono state studiate continuativamente per un
periodo di 6 anni dal 1966 al 1971. A Seattle, Washington, uno
studio simile è stato realizzato negli anni tra il 1965 e il 1969 e poi tra il 1975 e il1979, coinvolgendo 215 famiglie. Questi studi e altri simili hanno messo in
evidenza come il tasso più elevato di infezione riguardasse i
bambini, con punte fino al 40%, mentre gli adulti non superano punte
massime del 20%. In ambienti di tipo scolastico il tasso di
infezione può toccare livelli fino al 50%. Un altro dato che è
emerso già in quegli anni è l' elevato numero di soggetti
sieropositivi anche in assenza di sintomi, almeno un 20-30% in più
rispetto ai casi manifesti.
L'
interessamento delle fasce dei bambini in età scolare rappresenta
l' elemento di partenza e quello che maggiormente caratterizza l'
epidemia di influenza, che progressivamente si estende alle altre
classi della popolazione, con i bambini più piccoli e gli anziani che vengono generalmente colpiti per ultimi. Il ruolo centrale dei bambini nella
propagazione del virus nell' ambito delle comunità in cui vivono è
dimostrato dallo studio di Glenzen e Couch che rivela
anche come il picco di ammissioni per polmonite dei bambini preceda
di ca 2 settimane un analogo picco da parte degli adulti.
La conseguenza
naturale dell' alto tasso di infezioni è l' elevato numero di visite
ambulatoriali. In uno studio di sorveglianza condotto negli Stati
Uniti durante 19 anni consecutivi, si è riscontrato che il numero di
visite pediatriche è tre volte superiore a quelle degli adulti, con
8.5 visite ogni 100 bambini al di sotto dei 17 anni.
Considerando i casi con diagnosi confermata di influenza, da uno
studio della durata di 25 anni è risultato che, in bambini di età
minore di 5 anni, le visite ambulatoriali sono state 9.3 su 100 nei
bambini sotto 1 anno e 11 su 100 tra 1 e 2 anni.
In un altro studio, sempre su bambini al di sotto dei 5 anni in
differenti aree geografiche degli USA, le visite per influenza
confermata rappresentano il 10,2 e 19,4% del totale delle visite
ambulatoriali e il 5,9 e 28,8% delle visite di emergenza
rispettivamente nelle stagioni 2002-03 e 2003-04
Il tasso più alto era relativo alla fascia 6m-<2a con 5.2-12.5
visite ogni 100. In uno studio prospettico della durata di 2 anni
compiuto in Grecia nei bambini di età fino a 14 anni, durante le 4
settimane di picco le visite per influenza rappresentano il 40% del
totale degli accessi ambulatoriali per malattie respiratorie e il
13,5% di tutte le visite del periodo
Durante la stagione 2008-09 uno studio su una popolazione di 21896
bambini sani del nord Italia ha riscontrato un' incidenza nei bambini
di influenza con conferma di laboratorio pari a 9,6 su100.
Ospedalizzazioni
I primi studi già dalla fine degli anni 70 fino hanno messo in
luce il grande aumento nelle ospedalizzazioni nei bambini più
piccoli. In particolare è emerso
che il tasso di ospedalizzazione dei bambini con meno di 5 anni era
alto quasi quanto quello degli anziani e che una parte considerevole delle
ospedalizzazioni in questa fascia riguardava bambini in prevalenza
sani. Due studi maggiori eseguiti negli anni 2000 hanno rafforzato
queste osservazioni e il ruolo dell' età come fattore di rischio
indipendente. In uno studio nel Tennessee
che ha esaminato 19 anni, si è visto che il tasso di ospedalizzazioni
più alto si registrava nei bambini al di sotto di 1 anno, con una
media superiore a 1000 su 100000 nei bambini sotto i 6 mesi.
Inoltre sono stati riscontrati tassi di ricovero maggiori nei bambini con meno di 2 anni rispetto alle persone con più di 65 anni. In California il tasso nei bambini sani con meno di 2 anni è risultato essere 200 su 100000, simile a quello dei bambini di età 5-17 ad alto rischio, mentre nei bambini sani di quest' ultima fascia il tasso era del 90% inferiore. Un limite di questi primi studi è che si basano su dati clinici, in periodo di elevato livello epidemico, in assenza di un riscontro virologico. E' noto che altri virus, in particolare il virus respiratorio sinciziale, hanno un impatto significativo soprattutto nei pazienti più piccoli e questo potrebbe aver portato a sovrastimare il ruolo del virus influenzale. Una stima più precisa è stata ottenuta grazie a studi compiuti negli anni successivi. Il gruppo di Poehling ha arruolato 2979 bambini seguiti per 4 anni dal 2000 al 2004, calcolando un tasso di ospedalizzazioni con conferma di avvenuta infezione in 90 su 100000 nei bambini fino a 5 anni, la metà delle quali ha coinvolto bambini con meno di 6 mesi ( 450 su 100000), l' 80% con meno di 2 anni. Lo stesso gruppo ha ripetuto un analogo studio negli anni 2004-2009 senza rilevare significative riduzioni nel tasso di ospedalizzazioni. In Europa due studi hanno trovato valori sovrapponibili a quelli di Poehling ( Montes nel 2005 e Ajayi-Obe nel 2008). In aree dell' asia subtropicale, come ad Hong-Kong, i livelli di ospedalizzazioni risultano essere ancora più alti. Si è valutato anche l' impatto delle diverse tipologie di virus. In uno studio tedesco il livello di ospedalizzazioni legate all' influenza A in bambini con meno di 1 anno è stato pari a 149 su 100000, mentre ad Hong-Kong era da 2 a 7 volte maggiore a seconda della stagione e del ceppo circolante. Per quanto riguarda il ceppo B, nello studio tedesco il tasso di ospedalizzazioni nei bambini più piccoli è risultato essere maggiore, mentre ad Hong-Kong non si sono registrati casi nei bambini con meno di 2 anni nei tre anni dello studio.
Inoltre sono stati riscontrati tassi di ricovero maggiori nei bambini con meno di 2 anni rispetto alle persone con più di 65 anni. In California il tasso nei bambini sani con meno di 2 anni è risultato essere 200 su 100000, simile a quello dei bambini di età 5-17 ad alto rischio, mentre nei bambini sani di quest' ultima fascia il tasso era del 90% inferiore. Un limite di questi primi studi è che si basano su dati clinici, in periodo di elevato livello epidemico, in assenza di un riscontro virologico. E' noto che altri virus, in particolare il virus respiratorio sinciziale, hanno un impatto significativo soprattutto nei pazienti più piccoli e questo potrebbe aver portato a sovrastimare il ruolo del virus influenzale. Una stima più precisa è stata ottenuta grazie a studi compiuti negli anni successivi. Il gruppo di Poehling ha arruolato 2979 bambini seguiti per 4 anni dal 2000 al 2004, calcolando un tasso di ospedalizzazioni con conferma di avvenuta infezione in 90 su 100000 nei bambini fino a 5 anni, la metà delle quali ha coinvolto bambini con meno di 6 mesi ( 450 su 100000), l' 80% con meno di 2 anni. Lo stesso gruppo ha ripetuto un analogo studio negli anni 2004-2009 senza rilevare significative riduzioni nel tasso di ospedalizzazioni. In Europa due studi hanno trovato valori sovrapponibili a quelli di Poehling ( Montes nel 2005 e Ajayi-Obe nel 2008). In aree dell' asia subtropicale, come ad Hong-Kong, i livelli di ospedalizzazioni risultano essere ancora più alti. Si è valutato anche l' impatto delle diverse tipologie di virus. In uno studio tedesco il livello di ospedalizzazioni legate all' influenza A in bambini con meno di 1 anno è stato pari a 149 su 100000, mentre ad Hong-Kong era da 2 a 7 volte maggiore a seconda della stagione e del ceppo circolante. Per quanto riguarda il ceppo B, nello studio tedesco il tasso di ospedalizzazioni nei bambini più piccoli è risultato essere maggiore, mentre ad Hong-Kong non si sono registrati casi nei bambini con meno di 2 anni nei tre anni dello studio.
In Italia, nel
corso di due stagioni, è stata verificata una maggiore severità del
virus H3N2 rispetto ai virus di tipo H1N1 e B.
Complicazioni
La più comune
complicazione dell' infezione influenzale è l' otite media acuta,
che si sviluppa nel 20-70% dei casi a seconda dei diversi studi, con
un rischio più elevato nei bambini più piccoli. Il virus
influenzale può essere responsabile direttamente del quadro
infiammatorio come pure favorire l' azione dei batteri presenti nel
nasofaringe.
Altra malattia che può essere conseguente all' influenza, soprattutto nei bambini più grandi è la sinusite.
Altra malattia che può essere conseguente all' influenza, soprattutto nei bambini più grandi è la sinusite.
La più
importante complicazione nei bambini ospedalizzati è la polmonite,
sia nei bambini precedentemente sani che nei bambini con malattie
sottostanti. In un ampio studio di sorveglianza durato 5 anni, in
soggetti di età 6m-17a ospedalizzati con diagnosi confermata di
influenza, il 38% presentava evidenza radiologica di polmonite, con
la frequenza più elevata nei bambini di età inferiore a 4 anni.
Streptococcus
pneumoniae e staphilococcus aureus sono i batteri che più spesso
causano polmonite in bambini affetti da influenza. Più frequente nei
periodi pandemici è la polmonite primaria, caratterizzata da rapida
progressione di febbre, tosse e dispnea, seguiti dallo sviluppo di un
quadro grave di insufficienza respiratoria (ARDS).
Un frequente
riscontro nei bambini ospedalizzati, con un'incidenza maggiore
rispetto agli adulti, è il coinvolgimento del sistema nervoso
centrale. Il quadro più spesso osservato sono le convulsioni
febbrili: in diverse aree e studi l' incidenza è risultata pari al
3-20% e in alcuni casi può essere la prima manifestazione di
malattia. Chiu ha stimato che il 35-44% di tutti gli episodi di CF
durante il picco della stagione influenzale sono dovuti all'
influenza
Ma un ampio spetto di manifestazioni di tipo neurologico sono
imputabili al virus influenzale come encefaliti, encefalomieliti,
Guillain-Barré, sindrome di Reye, mieliti trasverse, encefalopatia
necrotizzante acuta. Le encefaliti infantili dovute all' influenza sono particolarmente
comuni in Giappone a partire dagli anni 90. Un aumento di questa patologia si è avuto con il virus H1N1 pandemico.
Le miositi sono
complicanze rare tipicamente a carico dei bambini di età scolare.
Le miocarditi,
relativamente rare con i ceppi stagionali, sono state un riscontro più comune nel corso dell' ultima pandemia, con i bambini insieme ai
giovani adulti particolarmente colpiti.
Le ammissioni
in terapia intensiva sono un evento che non infrequentemente
interessa i bambini, almeno secondo uno studio durato 5 anni in 10
stati americani, da cui risulta che il 12% dei bambini ospedalizzati
richiede un' assistenza nelle UTI, il 21% di quelli con polmonite.
Mortalità
La maggior
parte dei decessi imputabili all' influenza avvengono tra le persone
più vulnerabili, in primis gli anziani. Le morti per influenza in
ambito pediatrico sono un evento fortunatamente raro, ma
caratterizzato da un impatto devastante sulle famiglie e sull'
ambiente sociale di riferimento. Deve far riflettere che un esito così drammatico si poteva evitare con un vaccino del costo di pochi euro. Negli USA esiste
ormai da più di 10 anni un programma di sorveglianza attivo che
rende le morti per influenza soggette a notifica obbligatoria e
sottopone ad un protocollo di indagini approfondite i bambini a cui
non è stato possibile fare la diagnosi prima della morte. Il
programma è partito nel 2003, dopo una stagione che è stata segnata
da 153 decessi con diagnosi confermata (0,88 x 100000), la metà di
questi in bambini precedentemente sani. Nell' anno della pandemia sono
stati registrati 358 bambini americani morti per influenza H1N1. Di
301 di cui erano disponibili i dati di storia clinica, il 32% non
apparteneva a categorie a rischio e aveva un' età media più
elevata (9,4 vs 6,2) rispetto ai bambini deceduti per influenza
stagionale.
Un elevato tasso di mortalità infantile è stato registrato anche in
Argentina, 10 volte superiore rispetto ai livelli di mortalità degli
anni precedenti .
In una
revisione dei decessi avvenuti negli USA, negli anni dal 2004 al 2012, si contano 830 casi fatali, nel 43% si trattava di bambini perfettamente sani e,
significativamente, il 35% è deceduto a casa o durante il tragitto
in ospedale, con caratteristiche proprie di un decorso fulminante. E'
altamente probabile che casi analoghi si possano verificare anche in
altri paesi, ma non vengano riconosciuti in quanto manca la
consapevolezza di questa entità e non vengono adottate tecniche di
indagine che permettono di risalire alla reale causa di queste morti.
Da notare che
negli USA, pur disponendo di sistemi sofisticati di indagine, si
ritiene che un caso su due sfugga alla diagnosi, il che rende ancora
più drammatico il bilancio in termini di giovani vite spezzate.
Costi sociali
L' impatto
dell' influenza nei bambini va al di là della sola malattia clinica,
ma comprende anche i costi socioeconomici correlati, come quelli
dovuti ai farmaci, alle visite ambulatoriali, alle ospedalizzazioni
nonché costi indiretti come assenze da scuola e perdita di giornate
lavorative da parte dei famigliari, sia per le necessità di
assistenza al minore sia per malattie secondarie degli stessi
famigliari. Il costo medio di un bambino ricoverato per influenza
negli USA è di 5402 $, in Europa 3000 €. In uno studio australiano basato sulla
popolazione di 234 bambini, i costi dell' influenza sono risultati
più alti rispetto ad altre malattie respiratorie.
Una parte
consistente dei bambini ammalati non viene portato in visita e
tuttavia causa perdita di giorni di scuola e di lavoro da parte dei
genitori. In uno studio a Seattle 3 bambini su 4 che si ammalano non
vengono condotti dal dottore, ma portano comunque ad elevati costi
sociali: per ogni 100 bambini seguiti nello studio, le malattie di
tipo influenzale determinano 20 giorni di perdita lavorativa Una media di 1.3 giorni lavorativi in Italia e 1.4 in Grecia
sono persi per ogni bambino che si ammala di influenza. In uno
studio finlandese la durata media di perdita di lavoro di famigliari
di bambini di 1-3 anni è stata di 2 giorni. In un altro studio finlandese il costo complessivo dell' influenza
nei bambini da 6 mesi a 13 anni, con un tasso medio di attacco del 16%, è risultato pari a 39 milioni di €, senza considerare i bambini con meno di 6 mesi. Più di due terzi di
questo costo dipende dalla perdita lavorativa dei famigliari.
In Italia il
costo medio per ogni bambino ammalato di influenza è stato valutato
in 130 euro, più alto del 32% rispetto a quello sostenuto per
bambini con sintomi di ILI ma negativi al test per l' influenza.
Un problema
rilevante da considerare è anche l' eccessivo e spesso non
necessario utilizzo di antibiotici, soprattutto alla luce delle
aumentate resistenze che riscontriamo in questi ultimi anni, che
stanno erodendo lo spettro d' azione di questi farmaci. In uno
studio italiano, riguardante 901 bambini sani con meno di 15 anni, più
del 70% dei soggetti con diagnosi confermata di influenza ha ricevuto
un trattamento antibiotico.
In uno studio tedesco su bambini ricoverati il 40% ha ricevuto un
trattamento ritenuto inappropriato con antimicrobici.
I dati di cui
disponiamo sull' impatto dell' influenza nella popolazione
pediatrica risultano parziali e disomogenei, con il
contributo maggiore proveniente dagli Stati Uniti, ma in questi
ultimi anni c' è stato un maggiore impegno di paesi europei come
Finlandia, Grecia, Francia e la stessa Italia nel documentare l'
entità del fenomeno anche nelle realtà più vicine a noi. Il quadro
che si sta delineando con chiarezza è non solo quello di un ruolo
determinante dell' alta morbilità pediatrica nella circolazione e
nella propagazione del virus, ma anche di rilevanti ricadute sulla
salute di questa fascia della popolazione, specialmente nei bambini più piccoli,
che si riflettono in costi sanitari e sociali di grande portata.
Purtroppo queste conoscenze rimangono confinate a singoli gruppi di
ricerca e non riescono a tradursi in una consapevolezza diffusa nel
contesto sociale in cui viviamo. Emergenze sia pure rilevanti ma
occasionali, come quelle legate ai numerosi casi di meningite
registrati in questo ultimo periodo, creano una grande eco mediatica
e una mobilitazione da parte delle amministrazioni pubbliche e delle
organizzazioni sanitarie con la proposta attiva di piani di vaccinazione
estesi a larghi strati della popolazione, mentre l' emergenza che si
rinnova ogni anno dovuta all' influenza e alle sue ricadute non
suscita altrettanto dibattito e non spinge alla ricerca di soluzioni
che si spingano oltre i tradizionali slogan sulle generiche misure di
attenzione e i piani di protezione riservati alle sole categorie
maggiormente a rischio.
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