Con
questo articolo vi propongo un viaggio nel mondo microbiologico per scoprire la natura ed il comportamento
del protagonista di questo blog.
CENNI
STORICI
Il virus influenzale è conosciuto fin dai tempi
antichi, se è vero che già Ippocrate 2400 anni or sono ne dà una
pur sommaria descrizione. Periodicamente emergono ceppi
caratterizzati da maggiore capacità di diffusione e letalità che
sono all’ origine delle pandemie. La prima di cui si hanno
riferimenti storici certi avvenne nel 1580, quando il virus si
diffuse dall’ Asia fino all’ Europa, attraverso l’ Africa. La
pandemia del 1918 è considerata il secondo evento infettivo più
luttuoso nella storia dell’ umanità, dopo la peste nera,
responsabile di ca. 50-100 milioni di morti. Il virus è stato
isolato per la prima volta nei maiali nel 1931, mentre bisogna
attendere il 1933 per il primo isolamento negli esseri umani.
STRUTTURA
Il virus influenzale è del tipo a singola catena
di RNA e appartiene alla famiglia degli Orthomixoviridae.
Le nucleoproteine presenti all’ interno
permettono la distinzione di tre diversi tipi: A, B e C. I virus di
tipo A sono responsabili di gran parte delle infezioni umane e di
quasi tutte le infezioni animali. Sono costituiti da un capside che
presenta nella parte esterna un rivestimento sfingolipidico
acquisito dalle membrane delle cellule ospiti, rafforzato all’
interno dalla matrice (proteina M1) e attraversato da canali ionici
( proteina M2). All’ interno è presente il materiale
ribonucleoproteico, con 8 filamenti di RNA a polarità negativa,
codificanti ciascuno per 1 o 2 diverse proteine, 3 polimerasi ( PB1,
PB2 e PA) la nucleoproteina (NP) e le proteine non strutturali ( NS1
e NS2). Un ruolo chiave, sia nella virulenza che nel riconoscimento
da parte del sistema immunitario, è dato dalle due proteine di
membrana, l’ emoagglutinina (HA) e la neuraminidasi (NA).
Queste determinano la sottotipizzazione dei virus
di tipo A: si conoscono 17 varianti di HA e 10 di NA con diverse
possibili combinazioni. Tutti i sottotipi infettano gli uccelli,
eccetto l’ H17N10 di recente identificazione, che sembra esclusivo
dei pipistrelli.
CICLO INFETTIVO E REPLICAZIONE *
Il virus influenzale, come tutti i virus, è un
parassita intracellulare obbligato. Condizione necessaria per la sua
replicazione e patogenicità è l’ ingresso nella cellula ospite,
che avviene tramite legame dell’ HA ai recettori di membrana della
cellula. L' HA è costituita da tre distinte catene. Come forma,
possiamo paragonarla ad un fungo composto da due parti: il fusto e la
testa globulare. L’ HA riconosce l’ acido sialico, che è un
piccolo zucchero presente nella parte terminale delle glicoproteine
presenti sulla superficie cellulare.
E’ importante sapere che esistono varie forme
chimiche di acido sialico e che i vari ceppi di influenza si
diversificano in base al loro diverso grado di affinità ad esse.
L’
acido sialico si lega al galattosio, che è lo zucchero che subito
lo precede, mediante due possibili tipi di legame, denominati alfa
(2,3) e alfa (2,6), a seconda che il carbonio in posizione 2 dell’
acido sialico si leghi al carbonio in posizione 3 o 6 del galattosio.
L’ alfa (2,6) è il tipo di acido sialico
maggiormente espresso dalle cellule dell’ albero respiratorio
umano, mentre l’ alfa (2,3) è presente solo nelle cellule ciliate
e nelle cellule epiteliali delle basse vie respiratorie. Questo ha
importanti implicazioni, soprattutto per quanto riguarda l’
infezione umana da parte di ceppi aviari. Il virus H5N1 altamente
patogeno è in grado di replicarsi nell’ epitelio respiratorio per
la presenza di alcune cellule che permettono un legame di tipo alfa
(2,3), ma il mancato legame ai recettori alfa (2,6) ostacola la sua
diffusione ad altri soggetti. I virus pandemici del 1918, del 1957 e
del 1968 e del 2009 si legano invece preferibilmente ai recettori
delle alte vie respiratorie.
I suini possiedono cellule dell’ epitelio
tracheale con recettori di entrambi i tipi egualmente distribuiti e
rappresentano i cosiddetti “mixing vessel” in quanto, potendo
essere attaccati da virus sia umani che aviari, permettono il
rimescolamento del materiale genetico e la creazione di nuovi ceppi
con potenziale pandemico.
La NA ha la funzione preminente di permettere il
rilascio dei nuovi virioni dalle cellule, ma recenti studi hanno
messo in evidenza il suo ruolo anche nel consentire al virus di
attaccarsi alle cellule, staccando l' acido sialico presente sulle
glicoproteine dello strato mucoso che potrebbe "confondere"
l' HA, che deve agganciarsi unicamente all' acido sialico delle
proteine cellulari. Oseltamivir (tamiflu) e zanamivir (relenza) sono
analoghi strutturali dell' acido sialico e si legano strettamente al
sito di legame della NA, impedendole di svolgere le sue funzioni.
Una volta che l’ HA si è agganciata al
recettore, il virus penetra sfruttando il meccanismo dell’
endocitosi, lo stesso che permette l’ ingresso alle comuni
molecole. Non appena la vescicola endosomiale che contiene la
particella virale si sposta verso il nucleo, il ph al suo interno si
abbassa per l’ attivazione di un canale che pompa protoni (H+) all’
interno. Quando il ph endosomiale raggiunge il valore di 5, l’ HA
subisce una modifica conformazionale che porta all’ esposizione del
peptide di fusione, una piccola sequenza idrofobica che si inserisce
nella membrana del corpuscolo endosomiale, facendo sì che questa si
fonda con il rivestimento virale. In questa maniera il materiale
genetico può fuoriuscire nel citoplasma della cellula e da qui
raggiungere il nucleo. I filamenti di RNA non sono liberi, ma sono
avvolti dalle proteine, in particolare dalla proteina della matrice
(M1). Qui entra in gioco il canale ionico (proteina M2) che pompa
ioni H+ dentro il capside virale, consentendo all’ RNA di
sganciarsi. La proteina M2 è il bersaglio degli antivirali di prima
generazione ( come l’ amantadina). La resistenza a questi composti
avviene grazie ad una modifica aminoacidica.
Un passaggio cruciale è quello in cui l’ HA
espone il peptide di fusione. Affinché questo avvenga, l’ HA deve
essere spaccata ( cleavage) dalle proteasi cellulari. L’ HA è in
realtà un trimero, formato da 3 catene uguali. Il punto di
spaccatura si trova alla base dell’ HA, vicino alla membrana
capsidica. Una volta innescata la reazione, l’ HA si divide in due
distinte subunità: HA1 e HA2. La parte N- terminale di HA2 contiene
la sequenza denominata peptide di fusione. L’ importanza di questo
processo è data dal fatto che in assenza di cleavage, cioè delle
idonee proteasi cellulari che lo innescano, il virus risulta
inoffensivo. Negli uomini la replicazione virale avviene solitamente
nell’ albero respiratorio, perché solo in questa sede sono
presenti le proteasi necessarie. I virus del tipo H5 e H7 altamente
patogeni subiscono invece il cleavage anche da parte di tessuti come
fegato, reni, cervello e questo spiega la loro maggiore virulenza.
Anche il virus del 1918 condivideva questa proprietà.
Una volta che l’ RNA virale è entrato nel
nucleo, funziona come uno stampo per la produzione di mRNA. Il
processo avviene per opera delle polimerasi virali ( PA, PB1 e PB2).
Le polimerasi sono macchine tutt’ altro che perfette e spesso
commettono errori nell’ assemblare le catene di mRNA, inserendo
nucleotidi sbagliati. A differenza dei virus a DNA, i virus a RNA non
possiedono l’ esonucleasi, che è un’ enzima che serve a riparare
gli errori, determinando un numero elevato di mutazioni: si calcola
un’ incidenza di 1 ogni 1000-1000000 nucleotidi. Se consideriamo
che il genoma di un virus contiene 10000 basi, la mutazione di 1 ogni
10000 significa che ogni genoma ne possiede almeno una. Se da un
singolo virus nascono 10000 nuove particelle virali, questo tasso di
errore implica che si sono prodotti 10000 mutanti. Qui sta la ragione
del grande successo dei virus a RNA e della loro capacità di
evolvere con grande rapidità. Da questa proprietà discende il
concetto di quasispecies. Quando ci viene detto che in una
determinata stagione circolano 1 o 2 ceppi virali, non dobbiamo
pensare ad essi come ad una popolazione omogenea, ma ad un vasto
numero di particelle differenti, con la conseguenza che la prevalenza
di alcune varianti rispetto ad altre può spiegare in parte il
diverso impatto su individui e popolazioni differenti.
La produzione dei nuovi virioni avviene tramite la
translazione dell' mRNA nei nuovi componenti proteici che poi devono
essere assemblati. HA e NA e M2 sono sintetizzate da parte dei
ribosomi adesi al reticolo endoplasmatico (RE). Una volta prodotte
vengono inserite nella membrana del RE e quindi trasportate tramite
vescicole fino alla superficie cellulare dove si fondono con la
membrana cellulare e in essa si inseriscono già nella giusta
posizione. I nuovi filamenti di (-)RNAs sono prodotti nel nucleo e
poi trasferiti nel citoplasma dove si uniscono alle proteine PA, PB1
PB2 e NP per formare il complesso ribonucleoproteico. Queste
proteine, insieme a M1( matrice), vengono prodotti da parte dei
ribosomi liberi. M1 andrà a formare la struttura interna del capside
virale.
I nuovi virioni sono poi rilasciati attraverso un processo di gemmazione, mediante il quale le nuove particelle protrudono dalla superficie fino a staccarsi. Appena formate queste tenderebbero ad attaccarsi alle molecole di acido sialico presenti sulla superficie cellulare, se non fosse per la NA che rimuove le molecole di acido sialico e permette lo sganciamento permettendo l’ inizio di un nuovo ciclo infettivo.
I nuovi virioni sono poi rilasciati attraverso un processo di gemmazione, mediante il quale le nuove particelle protrudono dalla superficie fino a staccarsi. Appena formate queste tenderebbero ad attaccarsi alle molecole di acido sialico presenti sulla superficie cellulare, se non fosse per la NA che rimuove le molecole di acido sialico e permette lo sganciamento permettendo l’ inizio di un nuovo ciclo infettivo.
Gran parte dei contenuti e delle immagini sono tratti dal sito di Vincent Racaniello, professore di Microbiologia e Immunologia presso il College of Physicians and Surgeons della Columbia University
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