domenica 29 novembre 2015

Influenza e mortalità







L’ influenza è una parola che è entrata nel gergo comune come sinonimo di una malattia che non comporta rischi particolari se non per soggetti deboli o defedati. Non è raro leggere notizie su persone decedute per quella che “sembrava una banale influenza”, perché di tutto si può morire ma non di influenza e, se proprio accade, ci deve essere qualche altra spiegazione. Ci vengono tramandate storie di grandi tragedie del passato, con i centinaia di  migliaia o milioni di vittime provocate dalle grandi pandemie del passato ma sembrano eventi remoti, più legati all’ arretratezza della società e della medicina dell’ epoca che alla reale pericolosità del virus. Un esempio lampante per molti è anche l' andamento dell’ ultima pandemia, in cui le paure erano evocate al solo scopo di ingigantire i rischi e gonfiare gli introiti delle case farmaceutiche ma non dipendevano da minacce reali. Tant’ è che molti, ancora oggi, ritengono che non sia stata altro che una colossale montatura.
Non è un caso che proprio a partire da quell’ evento ci sia stata una progressiva erosione nella fiducia in quel fondamentale strumento di protezione che è la vaccinazione, con percentuali di adesione scesi a livelli minimi. A poco valgono gli appelli, i moniti, le paure evocate (8000 morti all’ anno!) che hanno solo l’ effetto di rafforzare i sentimenti di avversione nei confronti di istituzioni sanitarie ritenute poco credibili, sentimenti troppo spesso condivisi da coloro che dovrebbero rappresentarle. Sono ancora troppi i medici che si sottraggono alla vaccinazione, venendo meno ad un obbligo di coscienza verso loro stessi e verso i pazienti a cui dovrebbero proporsi come modello.
Il problema è che in Italia l’ influenza è poco conosciuta per quelli che sono gli aspetti clinici e i risvolti epidemiologici. Su questi ultimi intendo focalizzare la mia analisi e le mie riflessioni di oggi.


L’ influenza non è solo responsabile dei classici malanni  respiratori che colpiscono una grande quantità di persone nel periodo invernale e rendono affollati gli ambulatori dei medici e i presidi di pronto soccorso. Può causare anche gravi forme di insufficienza respiratoria e multiorgano, quali quelle che hanno riportato le cronache degli ultimi anni a causa del virus pandemico. Non si limita ad attaccare l’ apparato respiratorio perché anche altri organi, come cuore, cervello e reni, possono essere bersaglio della sua azione. Inoltre facilita ed aggrava processi invasivi da parte di agenti batterici che si estrinsecano sotto forma di polmoniti, meningiti e sepsi. Infine, come la ricerca di questi ultimi anni sta mettendo in evidenza, ha un ruolo importante nell’ ambito delle patologie cardiovascolari.
Ogni anno l’ influenza determina un numero variabile di decessi a seconda della tipologia dei ceppi circolanti, delle caratteristiche climatiche stagionali, dei livelli di immunità preesistenti e/o indotti dalle immunizzazioni attive della popolazione. Quest' ultime possono però risultare insufficienti nei confronti di ceppi di nuova emersione, siano essi ceppi driftati o ceppi completamente nuovi come quelli che provocano le pandemie.  Vi sono due principali metodiche che valutano l’ impatto della malattia in termini di mortalità. La prima considera solo i morti che hanno avuto una diagnosi confermata con indagini di laboratorio. Questo metodo  è molto preciso ma ha un’ alta tendenza a sottostimare il fenomeno, soprattutto nei riguardi della popolazione anziana, in cui molti decessi avvengono per patologie concomitanti e in cui raramente viene ricercata la presenza del virus. Con questo sistema solo poche centinaia di casi vengono attribuiti annualmente all’ influenza.

 In realtà l’ influenza è ritenuta una delle cause maggiori dei picchi di mortalità che si registrano nel corso dei mesi invernali.
 Se analizziamo i grafici che rappresentano la mortalità nel corso dell’ anno notiamo che hanno l’ aspetto di onde con delle punte che corrispondono ai mesi invernali e degli avallamenti corripondenti a quelli estivi. Nei mesi invernali la mortalità aumenta, soprattutto a carico delle fasce più anziane della popolazione, per una serie di motivi:

- Le basse temperature. Vi sono studi che dimostrano che il freddo è in grado di aumentare la pressione arteriosa e l’ emoconcentrazione del sangue, con maggior rischio di fenomeni trombotici. Inoltre abbassa le nostre difese immunitarie.
- L’ inquinamento. E’ stata documentata una relazione lineare tra i livelli di pm10 e la mortalità.
- L’ aumentata circolazione degli agenti infettivi, tra i quali spicca l’ influenza.

A quest’ ultima, sulla scorta di ormai numerosi studi epidemiogici, è stato riconosciuto un ruolo importante nel determinare l’eccesso di mortalità della stagione invernale, in quanto si è visto che a ceppi più virulenti corrispondevano annate con più elevati livelli di mortalità.
 Per riuscire a documentare l' impatto dell' influenza sono stati elaborati vari sistemi statistici.  Già nel 1847 William Farr misurava l’ impatto dell’ influenza a Londra sottraendo il numero delle fatalità registrate durante un inverno relativamente libero da malattia a quelle di un periodo epidemico. Nel corso del 20° e 21° secolo sono stati elaborati via via metodi sempre più sofisticati, mediante l’ applicazione dapprima di strumenti di indagine statistica  e incorporando poi informazioni epidemiologiche relative alla effettiva circolazione virale.
I modelli statistici utilizzati possono essere molto diversi, si va da quelli più semplici costruiti con il metodo originale di Serfling che calcola una linea basale ( come la mortalità nei mesi estivi e nei periodi che subito precedono e seguono quello epidemico) e le variazioni rispetto ad essa, ad altri che ricorrono a tecniche più complesse di regressione multivariata controllando per eventuali variabili confondenti ( temperature, circolazione di altri virus) a stime che misurano l’ eccesso come variazione rispetto alla mortalità attesa sulla base dell’ andamento storico precedente. Tutti questi sistemi utilizzano differenti tipi di mortalità come fonte di dati. Negli Stati Uniti è consuetudine monitorare l’ andamento della stagione mediante il computo delle morti per Polmonite e Influenza o le morti per tutte le cause Respiratorie, Cardiovascolari e Cerebrovascolari mentre in Europa l’ approccio è basato sulle morti per tutte le cause.
Ogni metodo ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. I metodi che includono cause alternative di morte come possibili confondenti son preferibili perché evitano una sovrastima. L’ eccesso di mortalità è espresso con intervalli di confidenza che indicano un limite minimo e uno massimo in cui è considerato altamente probabile che possa ricadere il valore reale.
Gli Stati Uniti, che sono pionieri nelle ricerche in questo campo e dispongono di un maggior bagaglio conoscitivo, stimano che tra il 1976-77 e il 2006-07 i decessi legati all’ influenza siano oscillati da un minimo di 3000 ad un massimo di 49000.


In Europa si è fatto un calcolo, estrapolando i dati americani, di una media di 38500 morti negli anni che vanno dal 1977 al 2009.

Un esempio emblematico della differenza dei due tipi di approcci, quello basato sul computo dei casi con diagnosi confermata e quello che dipende da un’ analisi statistica, si è avuto nel caso dell’ ultima pandemia. Le cifre ufficiali di questa parlavano di appena 18000 vittime a livello mondiale, rafforzando così le tesi complottiste e  negazioniste che ancora oggi prevalgono nell’ opinione pubblica, mentre meno risalto hanno avuto i risultati degli studi pubblicati negli anni successivi, quando le polemiche si erano ormai smorzate, che hanno messo in luce un bilancio almeno 10 volte più alto  e dando pieno riconoscimento ad un evento, che sia pure su scala minore, si situa legittimamente nel solco delle  pandemie del passato.
Tutti questi sistemi dipendono da un’ analisi retrospettiva dei dati raccolti nei tabulati statistici e richiedono diversi anni per essere completati. Negli USA già da molti anni è disponibile un sistema di sorveglianza rapida della mortalità basato sulle 122 principali aree metropolitane, che coprono 1/6 circa dell’ intera popolazione, che documenta settimanalmente ( con un ritardo di 2-3 settimane) sia la mortalità per tutte le cause, stratificata in base alle diverse fasce di età, sia per Polmonite e Influenza, che rappresenta un’ indice attendibile dell’ andamento della stagione.
In Europa, ma solo per quanto riguarda la mortalità generale e per un numero limitato di paesi e di aree regionali, è attivo da pochi anni ( dal 2008) un sistema di monitoraggio denominato EuroMOMO,  che pubblica su base settimanale i propri dati. E’ grazie ad esso che si è potuto documentare un importante eccesso di mortalità nel corso dell’ ultima stagione in diversi paesi, tra cui Francia, Inghilterra e Svizzera, che ha caratterizzato una stagione dominata da ceppi di nuova emersione e non contenuti nel vaccino dello scorso anno.
L’ Italia al momento, pur aderendo al progetto, non contribuisce con propri dati e questo è un handicap importante perché non ci permette di avere un quadro in tempo reale di come stia procedendo la stagione. Questo ritardo ha implicazioni non solo su di un piano strettamente conoscitivo, ma anche in un ambito culturale più ampio, perché si traduce in una  popolazione e una classe medica italiana meno consapevoli delle minacce attuali e meno preparate a gestire emergenze future.



Nessun commento:

Posta un commento