venerdì 20 febbraio 2015

Cari genitori, non diventate vittime della paura delle vaccinazioni








Premessa



Questo testo vuole essere un contributo, che si aggiunge a molti altri ben più autorevoli del mio, per cercare di convincere voi genitori sull’ importanza delle vaccinazioni e sull’ inconsistenza di molti timori  che sempre più spesso gettano ombre su di un intervento che ha avuto in passato e continua ad avere un importante ruolo nell’ assicurare condizioni di vita migliori per i vostri figli. Non ha la pretesa di riuscire a convincere chi è già schierato ideologicamente contro di esse, ma ha la speranza di spingere nella giusta direzione almeno qualcuno di voi che è  disorientato dalla babele di notizie contraddittorie e fuorvianti presenti nella stampa e nella rete.

L‘ autore è consapevole che il testo proposto potrà ferire o irritare genitori che hanno vissuto in buona fede il dramma di un figlio che considerano, a ragione o a torto, vittima delle vaccinazioni. A costoro esprimo tutta la mia simpatia e umana partecipazione, non altrettanto posso dire nei confronti di quelli che speculano su questi drammi per dare visibilità a loro stessi e a teorie che portano sulla strada sbagliata tanti genitori. L’ invito che faccio ai primi è di superare le recriminazioni e i sentimenti di rabbia nei confronti delle istituzioni, della società e del mondo intero, che finiscono per avvelenare la loro intera esistenza senza apportare nessun sollievo al dramma che stanno vivendo e di considerarlo un prezzo certamente molto alto che è stato loro richiesto nella battaglia dell’ umanità contro malattie che sono causa di uguali sofferenze per un numero molto superiore di famiglie.









La paura è una componente essenziale della nostra vita e serve a farci evitare situazioni di  pericolo attuali, prevedibili e talvolta solo immaginari ( fino a sfociare in veri e propri  stati di ansia). Per secoli una delle paure che ha accomunato le popolazioni di tutto il mondo è stata quella nei confronti di malattie che avevano un impatto devastante, in parte perché non esistevano sistemi di cura e prevenzione efficaci e in parte per la mancanza di conoscenze sui fattori coinvolti nella loro trasmissione e diffusione.

Questo comportava un bilancio pesante in termini di vite umane, in particolare nei soggetti più deboli, in occasione delle varie  epidemie che si susseguivano in tempi più o meno ravvicinati. Si generavano tanti figli e si metteva in conto che una parte di questi non sarebbero arrivati all' età adulta. Adesso, fortunatamente, grazie al progredire delle conoscenze e ai successi della scienza medica, viviamo in un  mondo più  libero da molte malattie che hanno funestato l' umanità nelle epoche passate, anche se, bisogna dire, sono aumentate quelle legate al prolungamento della vita e a stili di vita poco attenti e rispettosi degli equilibri del nostro corpo e della nostra mente. Ma un mondo più libero da malattie non è per ciò stesso un mondo più libero da paure.  Nella nostra epoca assistiamo a paure spesso immotivate e tanto maggiori quanto più si sono ristrette le famiglie. E’ drasticamente diminuito il numero di figli che una coppia mette al mondo, 1-2 in media, mentre sono aumentate le preoccupazioni a loro carico e si cerca, a volte spasmodicamente, di metterli al riparo da tutti i potenziali pericoli, reali o immaginari.

Ecco che le notizie amplificate dalla stampa di morti improvvise e inaspettate, come nei casi di meningite fulminante, evocano paure  che spesso sconfinano nel  terrore o  che comunque vanno al di là di quello che è il rischio reale, in verità molto basso data la ridottissima probabilità di diffusione di questa patologia. Si arriva così a  genitori spaventati da ogni possibile malattia che possa colpire il loro pargoletto e  che sarebbero disposti a vaccinarli anche nei confronti del comune raffreddore, se fosse disponibile un vaccino mirato (  che, a dir la verità, le case farmaceutiche sarebbero ben liete di offrire loro se fosse disponibile).

 Ma un fenomeno che sta emergendo, in un’ epoca in cui si è ridotto drasticamente il pericolo correlato alla circolazione degli agenti infettivi, è quello della paura degli effetti avversi delle vaccinazioni, che pure hanno avuto un ruolo determinante nel rendere la nostra vita e quella dei nostri figli più sicura.

Il fatto è che molte malattie del passato sono un ricordo sbiadito che solo le persone anziane conservano  e le testimonianze delle loro gravi ricadute sulla salute sono confinate in libri e iconografie che ingialliscono sempre più, man mano che passa il tempo.

Paura su cui soffiano personaggi di eterogenea formazione culturale e professionale, compresi rappresentanti della classe medica i quali, fiutando opportunamente l’ aria, si adoperano alacremente ad alimentare dubbi e incertezze e ad allargare sempre più il fronte del dissenso.

Io evito di affrontare l’ argomento partendo dalle ormai innumerevoli ricerche scientifiche che hanno documentato in misura assai larga la quasi certa assenza di un nesso causale tra vaccini e malattie, in quanto quel “quasi” per alcuni rappresenta una percentuale insignificante, per altri un mare senza confini. E se dovesse capitare proprio a mio figlio?

Cercherò invece di analizzare quelle che  sono  le radici del fenomeno.

Nella quotidianità i pericoli si nascondono dietro ogni angolo e non c’è attività umana che non comporti qualche pur minimo rischio, anche l’ innocente sonno può essere fonte di problemi potenzialmente fatali. Pensiamo alle passeggiate, ai giochi fatti in casa, alla frequentazione di luoghi pubblici, agli alimenti assunti.. basta leggere le cronache dei giornali e troveremo decine di incidenti, a volte purtroppo fatali, legati alle attività più banali della vita di tutti i giorni. Altre abitudini sono notoriamente ben più rischiose, come l’ utilizzo dei veicoli di qualsiasi tipo per i nostri spostamenti. Se dovessimo tener conto di tutte queste potenziali minacce e ci sforzassimo di mettere al riparo noi e  i nostri figli da tutti i possibili pericoli, la nostra vita diventerebbe un incubo e ci troveremmo ad essere paralizzati e incapaci di ogni attività. Nessuno di noi in realtà arriva a tanto, poiché abbiamo imparato ad addomesticare e a tenere sotto controllo queste paure, che certo si fanno sentire dentro di noi, ma senza condizionarci oltre una certa misura.

La ragione di ciò sta nella consapevolezza che abbiamo dell’ entità di questi rischi, che sono presenti sullo sfondo ma non interferiscono più di tanto con i nostri processi mentali e con le nostre attività.

Ci sono paure che possono avere un impatto diverso a seconda delle persone e del loro vissuto ma anche a seconda delle popolazioni e della diversa esposizione alle situazioni di pericolo. Una delle paure più grandi è quella dei terremoti, il solo pensiero ci fa drizzare i capelli, eppure in Giappone la gente è abituata a convivere con questa situazione e non si scompone più di tanto, anche di fronte a scosse che per noi sarebbero terribili. Certo, l’ aver costruito secondo le norme più stringenti di sicurezza antisismica aiuta a tenere sotto controllo le emozioni, ma ciò non toglie che alla base di tutto vi sia l’ abitudine e la conoscenza e il sapere esattamente cosa fare e cosa non fare in questi frangenti. E’ un esempio per noi perché dimostra che si possono padroneggiare paure anche molto grandi e basate su minacce reali.

La  paura non è quindi un’ entità assoluta, ma dipende da come è strutturata la nostra personalità, dal contesto in cui viviamo e dalle nostre percezioni ed elaborazioni. Sui primi due aspetti gli spazi di manovra sono ristretti, ma sul terzo possiamo cercare di intervenire per riportare in tutto nella giusta collocazione. Abbiamo per fortuna una parte razionale che deve sempre sovrintendere alle nostre emozioni.

La paura nei confronti delle malattie è uno di quegli stati d’ animo che si annida in profondità nella nostra psiche e che  affonda le sue radici nella storia dell’ uomo perché, come ho spiegato in precedenza, discendiamo da epoche non tanto remote in cui le epidemie mietevano molte vittime. Pur essendo mutato profondamente il contesto, continuiamo a subire l’ influenza di questo sentimento, che si fa sentire in maniera più o meno acuta. In realtà,  la maggior  parte delle persone vive la propria vita senza farsi più di tanto condizionare, ma esiste una minoranza che viene costantemente agitata da paure, come quelle nei confronti di  malattie immaginarie che deriverebbero dalla pratica vaccinale.

Il problema vero non sono le malattie, di cui raramente si ha esperienza diretta e di cui forse non avremmo mai sentito parlare se non fosse per il battage propagandistico che circonda l’ argomento,  ma la paura medesima che diventa un entità svincolata da elementi reali e  da ragionamenti concreti e che diventa egemone nei nostri processi mentali fino al punto di alterare la percezione della realtà e dei rischi connessi con il fare e con il non fare.   La condivisione di uguali sentimenti da parte di persone che utilizzano gli stessi spazi, siano essi fisici o, come accade sempre più spesso, virtuali tende ad avere un azione di  rinforzo su questi atteggiamenti. Se le nostre paure si limitassero a restare un fenomeno isolato e non si rispecchiassero nella gente con cui ci confrontiamo, siano essi vicini e conoscenti oppure membri di quelle comunità allargate che sono rese possibili dai moderni strumenti di comunicazione, probabilmente perderebbero molto della loro capacità di fare presa. Ma l’ esistenza di tante persone, di ceto ed estrazione diverse, tutte accomunate dalle angosciose attese di questa nuova  religione, i cui  profeti sono personaggi che vantano titoli e competenze professionali, rende vera e autentica la nostra paura e le fa acquistare una dignità e una forza che la legittimano pienamente davanti ai nostri occhi. Ma sempre e solo di paura si tratta, una paura che rende ciechi di fronte ad ogni evidenza contraria e che ci spinge a rifuggire da pericoli remoti e ipotetici anche di fronte a minacce ben più vicine e concrete a cui restiamo esposti. Ma il paradosso della vita di queste persone è che la paura che credono di tenere sotto scacco diventa la vera dominatrice della loro esistenza ed è destinata ad accompagnarli sotto varie forme e per tempi anche prolungati. Vediamo di capire il perché.





Genitori al bivio






Chi decide di sottoporre il proprio figlio alla vaccinazione fa un atto in cui prevale la consapevolezza dei benefici, anche se esistono dei margini di dubbio e di ansia sulle possibili reazioni. Ma questi ultimi sentimenti sono destinati ad affievolirsi sempre più man mano che passa il tempo e che avranno modo di constatare che la crescita e lo sviluppo del loro figlio non saranno minimamente pregiudicati e si rafforzerà invece sempre più la convinzione di aver fatto la cosa giusta, vedendo i loro figli crescere al riparo dalle molte insidie a cui la mancata protezione li avrebbe esposti. Ci sono milioni di persone nel mondo che hanno fatto almeno un vaccino nella loro vita e che sono arrivati alle soglie dell’ età senile alle prese solo con i disturbi tipici della loro età, anche grazie ad una scelta fatta molti anni addietro da genitori responsabili. Calziamo adesso i panni di genitori in cui la paura ha avuto il sopravvento e, per allontanare un sentimento che atterrisce le loro menti, hanno deciso di non vaccinare la loro creatura. In un primo momento si sentiranno sollevati da un peso giudicato insopportabile, ma la paura scacciata dalla porta è destinata inevitabilmente a rientrare dalla finestra. Ogni minimo malanno di cui soffriranno i loro bambini fin dalla più tenera età farà da detonatore ad ansie e sensi di colpa rispetto alla decisione iniziale. Ogni caso di malattia prevenibile dalla vaccinazione di cui avranno notizia nella comunità in cui vivono desterà il timore di conseguenze che si sarebbero potute evitare se la prima scelta fosse stata più ponderata. Verranno a conoscenza tramite i media, che spesso fanno da grancassa a questi drammi, di casi gravi o fatali di infezioni che oggi riusciamo a controllare grazie alle vaccinazioni ma non a debellare a motivo delle numerose persone sedotte dai vari apologeti della paura e dentro di loro risuoneranno quelle stesse corde che avevano creduto di non sentire più vibrare. I loro figli arriveranno con molta probabilità all’ età adulta e alle soglie della vecchiaia alla pari dei tanti figli che sono stati vaccinati, grazie anche all’ ombrello protettivo sotto cui hanno trovato riparo senza avere l’ orgoglio di aver contribuito, ma esiste ancora il rischio che  incontrino malattie (come l’ epatite B) di cui debbano chiedere conto ai loro improvvidi genitori. Un’ intera esistenza condizionata dalla paura e minata dai sensi di colpa, solo in parte attenuati dal richiamo ai sacri testi della dottrina antivaccinista e alle icone dei martiri delle vaccinazioni, uniche entità a cui appoggiarsi nei momenti di sconforto e di dubbio su quella decisione di tanto tempo prima. “Mio figlio non è diventato autistico o cerebroleso”  diventa il ritornello consolatore che renderà meno intollerabile il peso che si portano dentro, chiudendo gli occhi davanti al fatto che milioni di bambini sono stati vaccinati senza conseguenze e che la scienza ci ha dimostrato in maniera pressoché incontrovertibile che queste patologie non dipendono quasi mai dal vaccino. Ecco cosa succede quando la paura diventa più forte della cono-scienza. E tutto questo grazie ad un errore di percezione iniziale e per aver ceduto ad una paura che affonda le sue radici nelle nostre emozioni inconsce.

Si badi bene che queste stesse persone spesso convivono spensieratamente con rischi ben più concreti e reali, come quelli legati ai viaggi o agli stili di vita al punto di farsi loro stessi, in certi casi, promotori inconsapevoli di comportamenti che possono incidere pesantemente sul futuro dei loro figli, come le errate abitudini alimentari o l’ accondiscendenza nei confronti del fumo o dell’ alcool o la mancata adozione di misure di sicurezza nell’ uso dei mezzi trasporti. Ma hanno deciso di consacrare – forse è meglio dire condannare- la loro vita e quella dei loro figli alla paura delle malattie immaginarie. Ma la  paura, sotto altre forme,  sarà poi un tormento che li affliggerà per molto tempo.

L’ invito che faccio ai genitori al bivio è di riportare le cose nella loro giusta prospettiva e di considerare la paura legata alle vaccinazioni una delle tante prove della nostra vita, sicuramente non una delle più dure, il cui superamento li potrà rendere solo più forti e farà guardare con più serenità al futuro dei loro figli.




domenica 15 febbraio 2015

Farmaci per combattere l' influenza: ruolo e controversie relative al Tamiflu










Le due principali categorie di agenti patogeni sono i batteri e i virus. Nei confronti dei primi possediamo da ormai 80 anni armi potenti, gli antibiotici, che hanno consentito di vincere importanti battaglie nei confronti di germi che in passato  rappresentavano un’ importante causa di mortalità. Grazie al potenziamento dei vecchi preparati e alla produzione di nuove classi di molecole, riusciamo a curare ancora oggi molte patologie potenzialmente gravi, anche se desta preoccupazione il fenomeno delle resistenze e la prospettiva che di qui a 10 anni ci possa essere una sostanziale perdita di efficacia di questi fondamentali strumenti di contrasto. Per quanto riguarda i virus, è molto più recente la storia dello sviluppo di molecole ad azione antivirale. Per lunghi periodi ci si è basati esclusivamente sull’ azione preventiva dei vaccini, che pure hanno consentito di raggiungere traguardi fondamentali come l’ eliminazione del vaiolo e la forte limitazione di altre malattie pericolose come la poliomielite e  il morbillo. Altre malattie virali hanno invece rappresentato una sfida negli ultimi decenni, poiché per lungo tempo non si è stati in grado di sviluppare contromisure efficaci, come nel caso del temibile virus HIV, caratterizzato da una grande mutevolezza, tale da  renderlo imprendibile dalla memoria immunologica indotta dal vaccino. Da  questo presupposto derivò un forte impulso  allo sviluppo di farmaci, fino ad arrivare all' importante traguardo della messa a punto degli antiretrovirali che, pur non eliminando il virus, riducono fortemente la sua proliferazione e consentono la ricostruzione delle difese immunitarie del soggetto colpito, garantendone  prospettive di vita decisamente migliori.


L’ influenza rappresenta un’ importante patologia su cui si è concentrata la ricerca terapeutica in questi ultimi anni, man mano che si è preso consapevolezza della pericolosità del virus e dell’ impatto in termini di morbilità e di mortalità, anche senza dover richiamare alla memoria eventi lontani come le pandemie del 20° secolo. Tradizionalmente si ricorre alla vaccinazione per cercare di limitare gli effetti della malattia. Il primo vaccino è stato sviluppato nel 1938, ad opera di Jonas Salk ( che poi da quella ricerca prese spunto per poi arrivare a sviluppare il vaccino antipolio che porta il suo nome) e Thomas Francis e venne usato per proteggere i soldati americani durante la seconda guerra mondiale. I primi vaccini non erano purificati e sviluppavano frequenti effetti collaterali e solo dagli anni 70 si è arrivati alla produzione di vaccini più moderni. I vaccini influenzali non sono stati in grado di emulare i successi raggiunti con altre malattie a causa dei limiti intrinseci in termini di durata limitata della protezione, un’ efficacia che arriva al massimo al 70-80% e una ridotta accettazione da parte della popolazione, tutti fattori che non consentono attualmente di creare un’ effetto di “immunità di gregge”, che è quell’ ombrello protettivo che copre anche chi non si vaccina, grazie ad un numero sufficientemente ampio di vaccinati.

 A partire dagli anni 50 ha avuto inizio la ricerca di composti che fossero in grado di neutralizzare i virus influenzali. Storicamente i primi farmaci a trovare impiego per la lotta contro l’ influenza appartengono alla categoria degli adamantani, il cui capostipite è l’ amantadina, seguita poi dalla rimantadina nei primi anni 60. Tali farmaci, il cui meccanismo d’ azione è dato dal blocco  della proteina di membrana M2 che funge da canale ionico, hanno il limite di funzionare solo nei confronti dell’ influenza di tipo A e  sono gravati da consistenti effetti collaterali di tipo neurologico. Inoltre a partire dai primi anni 2000 iniziarono a svilupparsi  resistenze, tanto che nella stagione 2005-06 il 91% dei virus di tipo H3N2 analizzati dai laboratori dell’ OMS risultarono portatori della mutazione S31N che conferisce resistenza nei confronti di questa categoria di farmaci e tutto questo ne comportò il progressivo abbandono nella pratica clinica.

Zanamivir e oseltamivir
 

I primi studi relativi ad una nuova classe di farmaci risalgono agli anni 80 e si basavano sulle nuove conoscenze sulle caratteristiche ultrastrutturali del virus. Un ruolo chiave, sia nella virulenza che nel riconoscimento da parte del sistema immunitario, è dato dalle due proteine di membrana, l’ emoagglutinina (HA) e la neuraminidasi (NA). L’ HA ha la funzione di permettere l’ aggancio del virus ai recettori presenti sulle cellule a cui segue la penetrazione del virus e l’ avvio del ciclo infettivo mentre la NA ha la funzione principale di permettere il rilascio dei nuovi virioni dalle cellule, ma aiuta anche il virus a farsi strada attraverso le barriere mucose. La NA agisce tagliando i residui di acido sialico, impedendo che i virus rimangano intrappolati da tali residui presenti nella cellula e nelle secrezioni dell’ epitelio respiratorio. Negli anni 80 si è riusciti a determinare la struttura cristallina della NA, fornendo informazioni fondamentali per arrivare alla creazione di composti in grado di neutralizzarla. L’ obiettivo è stato fin da  subito quello di realizzare delle molecole con caratteristiche affini all’ acido sialico che andassero a competere con il sito di legame e fossero così capaci di inibire l’ attività della proteina.
I primi furono il 2-deoxy-α-Neu5Ac (composto 3) e Neu5Ac2en     ( composto 2a),  che dimostrarono di avere un’ attività discreta anche in vivo. Successivamente, mediante gli studi cristallografici a raggi X si riuscì ad individuare dei residui nei siti di legame che erano comuni sia per i virus di tipo A che di tipo B, aprendo la prospettiva di poter  agire contro entrambi i virus. Si arrivò così alla individuazione del 4-amino-4-deoxy-Neu5Ac2en ( composto 4), poi potenziato in 4-deoxy-4-guanidino-Neu5Ac2en  (composto 5),che si dimostrò un potente inibitore dei virus di tipo A e B sia in vitro che in vivo e venne commercializzato nel 1990  dalla Glaxo con il nome di zanamivir (Relenza) e ricevette l’ approvazione della FDA nel 1999. Data la sua bassa biodisponibilità orale venne presentata come formulazione inalatoria. La scoperta della zanamivir pose la base per la ricerca di altri farmaci con simile attività che potessero essere assunti per bocca.
Sostituendo il carboidrato del Neu5Ac2en con un cicloesene si ottenne prima il GS 4071 ( composto 8) a cui venne aggiunto un gruppo lipofilico ma senza ancora riuscire ad avere  una sufficiente biodiponibilità orale, per cui si realizzò un profarmaco, il GS 4104 ( composto 11)  che viene convertito nella forma attiva dalle esterasi endogene. Era nato l’ oseltamivir che venne licenziato nel 1996 e  commercializzato dalla Roche con il nome di Tamiflu. La FDA ne ha autorizzato l’ uso nel 1999. All’ inizio l’ accoglienza da parte del pubblico risultò essere tiepida, ma a  metà degli anni 2000 ci fu un forte impulso alla produzione e all’ utilizzo di farmaci antivirali determinato dalla emergenza aviaria, con un numero crescente di casi umani fatali legati al virus H5N1 in diverse parti del mondo ed il timore che potesse preludere ad una pandemia dagli esiti catastrofici. Sotto la spinta di questi eventi, l’ OMS ha varato regole più stringenti di sorveglianza planetaria e ha invitato i paesi membri a predisporre dei piani di risposta alla minaccia che sembrava incombente. In questi piani un ruolo decisivo era dato proprio dall’ accumulo di quantità ingenti di farmaci da impiegare in caso di emergenza. Ma a guastare il cammino trionfante del Tamiflu  sopraggiunsero le controversie relative alla presunta pericolosità del farmaco e successivamente i dubbi sulla sua reale efficacia.

Controversie sugli antivirali 

Cominciamo dalle prime. I primi trial su adulti e bambini non avevano rivelato la presenza di seri effetti collaterali. Gli unici effetti di rilievo, notati soprattutto nei bambini, erano nausea e vomito che in alcuni casi costringevano alla sospensione dell' assunzione. Nella sorveglianza post-marketing invece vennero segnalati nei bambini al di sotto dei 16 anni effetti avversi legati alla sfera psichica, come allucinazioni, confusione, anomalie del comportamento, convulsioni ed encefaliti. Quello che però risultava singolare è che questo tipo di segnalazioni provenivano in netta prevalenza dal Giappone, in particolare negli anni dal 2004 al 2005. Ci fu la segnalazione 12 casi fatali, alcuni legati ad azioni suicide. Le stesse autorità governative di quel paese erano allarmate e veniva richiesta di sospendere la distribuzione del farmaco. Di questo si occupò un’ apposita commissione dell’ FDA americana che, dopo aver analizzato la questione, arrivò alla conclusione  che nei casi riportati non era dimostrabile una relazione certa con il farmaco, in quanto erano stati assunti anche  altri farmaci, c’ era la compresenza di altre malattie e spesso i rapporti non erano molto accurati. Secondo l’ autorevole ente americano i casi erano più probabilmente da attribuire ad un’ ondata di casi di encefaliti ed encefalopatie associate all’influenza che era iniziata negli anni 90, prima dell’ entrata in commercio del medicinale. In seguito, nel 2008 e nel 2012, sono state pubblicate due importanti review di tutte le segnalazioni avverse di tipo neuropsichiatrico che erano state raccolte  dalla Roche. Nel primo lavoro, di 3051 rapporti spontanei 2772 (90,9%) riguardava pazienti giapponesi, 190 ( 6,2%) americani e 89 da altri paesi. Nello stesso periodo il farmaco era stato somministrato a 48 milioni di persone. Nessuna differenza è stata rilevata nel metabolismo e nella farmacocinetica del farmaco tra pazienti caucasici e asiatici e la penetrazione nel sistema nervoso risultava bassa in entrambe le popolazioni. I dati disponibili non erano a favore di una associazione tra farmaco ed effetti avversi e nessun meccanismo mediante il quale il farmaco potesse provocare tali reazioni fu dimostrato. Nella seconda review  viene fatto il punto sulle segnalazioni registrate tra il 2007 e il 2010, in tutto 1330  di cui il 42,5% dal Giappone, il 16,4% dagli Usa e il 42,5% da altri paesi. Anche in questo caso non viene data dimostrazione di nessun rapporto di causa-effetto tra farmaco e reazioni di tipo psichiatrico, che vengono attribuite più verosimilmente a effetti di tipo encefalitico del virus influenzale.


La seconda controversia riguarda i dubbi relativi all’ efficacia. Nel 2009 il governo inglese chiese alla Cochrane Collaboration, un prestigioso istituto di revisione degli studi sull’ efficacia dei prodotti farmaceutici, di rivedere le sue precedenti revisioni sugli antinfluenzali. Un lavoro precedente del 2008 aveva mostrato un certo beneficio nel ridurre alcune complicanze della malattia come la polmonite. Ma un semplice commento scritto online da un pediatra giapponese, di nome Keiji Hayashi,  scatenò un vero putiferio.

Il lavoro della Cochrane, scriveva il pediatra, era formalmente corretto, ma si basava su un sommario di 10 lavori finanziati dalla Roche e compilato da Laurent Kaiser. Di questi 10 lavori solo 2 erano stati pubblicati in letteratura. Degli altri 8 esisteva solo un breve sommario sui metodi di studio. Thomas Jefferson, il leader della Cochrane, capì subito di essersi sbagliato a fidarsi ciecamente del sommario di Kaiser e scrisse all’ autore richiedendogli tutti gli articoli nella loro versione completa. Kaiser rispose di non avere più i fogli originali, per avere i quali bisognava rivolgersi direttamente alla Roche. Qui sorse il problema. La Roche si disse disponibile a trasmettere i lavori originali, ma solo in cambio di un accordo di non divulgazione degli stessi. Jefferson si oppose giustamente a questa richiesta, in nome di un’ esigenza di trasparenza. La Roche, come ripicca, acconsentì a consegnare i lavori, ma non alla Cochrane, bensì ad altri gruppi di studiosi di suo gradimento.

A quel punto la Cochrane pubblica la sua review escludendo del tutto i lavori contestati e lasciando in sospeso il giudizio, spiegando in maniera apertamente polemica  le ragioni.

Alla fine, dopo un tira e molla durato 4 anni, la Roche consegna i manoscritti originali nella loro completezza.

Nel 2014 viene pubblicata la meta-analisi della Cochrane in cui viene messa in evidenza un’ efficacia del farmaco nel ridurre la durata della malattia, ma solo di 1 giorno (16.8 ore; 95% CI: 8.4 - 24.1; P<.001). Simili risultati sono riportati anche per quanto riguarda i bambini sani, con una riduzione della durata di 29 ore (95% CI: 12 - 47 ore, P =.001). Non viene evidenziata nessuna riduzione nel rischio di ospedalizzazione, mentre i dati sono insufficienti sul rischio morte. Si dimostrano invece effetti collaterali quali nausea e vomito.

Va dato atto alla Cochrane di aver compiuto una giusta battaglia per affermare principi sacrosanti di trasparenza e di completezza delle informazioni a cui devono attenersi le ditte che producono farmaci di qualsiasi tipologia, in particolare se destinati ad un mercato mondiale di consumatori.

Ma la Cochrane sbaglia a considerare come unica fonte autorevole di giudizio i lavori randomizzati in doppio-cieco che sono il gold standard per quanto riguarda la ricerca scientifica, ma non sempre possono essere presi come unico metro per valutare l’ efficacia di un trattamento. Certamente sono fondamentali per farmaci di largo impiego in patologie croniche-degenerative che interessano una parte rilevante della popolazione, ma non possono rappresentare il vangelo per situazioni di nicchia in cui il basso numero di casi e ragioni di tipo etico non consentono di fare questo tipo di studi. E’ questo il caso delle gravi complicazioni che avvengono in seguito a malattie sostenute da ceppi influenzali particolarmente virulenti, come nei casi di influenza aviaria o di influenza legata al virus H1N1 pandemico. Esiste ormai una larga messe di studi sul campo ( osserrvazionali e retrospettivi) che dimostrano che dare o meno il farmaco può fare sostanzialmente la differenza in termini di vite umane salvate. Un importante studio pubblicato nel 2010 ha analizzato i dati provenienti dalle istituzioni governative sanitarie di 12 paesi e dalle serie di casi pubblicati relativi a pazienti affetti da influenza H5N1, con un totale di 308 casi. Il tasso di sopravvivenza complessivo è stato del 43,5%. Ma se consideriamo i pazienti in base all’ assunzione o meno del Tamiflu, è risultato che il tasso di sopravvivenza è stato del 60% e del 24% rispettivamente, con una riduzione della mortalità del 49% per i trattati. Pur con i limiti e i possibili bias di questo tipo di studio, il risultato appare essere una dimostrazione ragionevole dell’ efficacia  del trattamento .

Anche nel corso della pandemia del 2009, moltissimi studi riportavano quasi unanimemente un sostanziale beneficio del trattamento nel ridurre la mortalità dei casi gravi di polmonite e compromissione dei parametri vitali, soprattutto se iniziato entro 48 ore dall’ inizio dei sintomi.

In uno studio di revisione, avente per oggetto 29234 pazienti di 78 studi, gli investigatori hanno riscontrato una riduzione significativa del rischio di mortalità pari al 19% ( odd ratio corretta: 0.81; 95% CI: 0.70 - 0.93; P = .0024). 



L’ ultimo capitolo della controversia è uno studio recente pubblicato sulla rivista Jama, che riprende il discorso analizzando le cartelle cliniche di più di 4000 pazienti e riscontrando una riduzione delle infezioni delle basse vie respiratorie del 44% e del 63% del rischio di ammissione in ospedale. Si è notata anche una riduzione nell’ assunzione di antibiotici. 

A questo studio ha replicato prontamente Peter Doshi, uno degli elementi di punta della Cochrane, che denuncia lo zampino della Roche, attraverso una fondazione chiamata MUGAS e avanza dubbi sulla reale consistenza e attendibilità dei dati presentati.



La disputa sembra quindi lungi da una conclusione e le due fazioni probabilmente si daranno battaglia ancora per un lungo periodo.



Ma ci sono alcuni punti fermi che vorrei sottolineare.

Nessuno mette in dubbio l’ efficacia del farmaco, che in tutti gli studi si è dimostrato in grado di ridurre in maniera significativa la durata della malattia. Del resto il fenomeno delle resistenze, che ha interessato la quasi totalità dei virus H1N1 stagionali a partire dal 2008 e qua e là è emersa anche nei confronti dei virus aviari e del virus H1N1 pandemico, sta a dimostrare che il virus “teme” il farmaco e mette in atto strategie di evitamento.

Questo outcome può essere di scarsa rilevanza se riferito ad una popolazione di persone che non presenta particolari fattori di rischio, nei cui riguardi va sconsigliata l’ assunzione, anche per la presenza di effetti collaterali e per il rischio di favorire il fenomeno della  resistenza.

Gli effetti sulle complicazioni più severe, anche se non dimostrati in maniera univoca dagli studi di tipo randomizzato, ma difficilmente potranno esserlo per la scarsa incidenza di queste complicazioni in una popolazione costituita da soggetti sani,  hanno ricevuto numerose conferme in una miriade di studi osservazionali, dove il Tamiflu è stato in grado di fare la differenza tra la vita e la morte, con costi contenuti in termini sia economici che di reazioni indesiderate.

Rimane pertanto condivisibile la raccomandazione degli organismi sanitari mondiali di associare alla vaccinazione la pratica  di proteggere le persone più vulnerabili con l’ assunzione del farmaco entro il più breve tempo possibile.






















domenica 8 febbraio 2015

Le Due Città


Vi propongo un racconto che ho scritto nel 2009, sotto la spinta delle emozioni suscitate in me dall' attesa dell' arrivo della nuova pandemia. Adesso consideratelo come una riflessione sulla natura umana, che in ogni epoca passata e presente è sedotta da sentimenti di onnipotenza  e dalla mancata accettazione dei suoi limiti e sulla gestione superficiale delle emergenze da parte delle pubbliche autorità.


LE DUE CITTA’



In un ‘ epoca indefinita di un lontano passato, ai piedi di un vulcano da cui si alzava un  perenne pennacchio di fumo, scorreva placida la vita di due città. Una si chiamava la Città Del Sole e si affacciava su un bel mare turchino, mentre l’ altra aveva nome Città Della Luna ed era abbarbicata nell’ entroterra. La prima prosperava per merito dei commerci marittimi e, grazie alle cospicue entrate da questi garantiti, aveva un livello di vita decisamente elevato. La seconda, la cui economia si basava sul duro lavoro della terra e sulla pastorizia, concedeva ai suoi abitanti una vita più frugale, ma non per questo meno felice rispetto alla potente città vicina.

Vanto della Città Del Sole, svettavano nel  cielo alti palazzi e importanti edifici pubblici, sede delle autorità locali e delle importanti corporazioni dei commercianti, degli armatori e delle maestranze. Inoltre poteva offrire all’ ammirazione dei visitatori, che qui accorrevano numerosi attratti dalla sua fama e dalle sue fortune, delle grandi costruzioni adibite ai commerci, al culto, agli spettacoli e perfino un grosso centro termale. Nei suoi bacini di acque tiepide si poteva dare conforto al fisico stanco ma anche sollievo, si diceva, ai molti malanni che colpivano le genti di allora come quelle dei nostri giorni. La Città Della Luna, invece…beh, avete già capito, non poteva esibire nulla di simile e, uniche costruzioni che si distinguevano dall’ insieme di casupole umili e amorfe  erano il piccolo tempio e la casa del Reggente, che era la principale autorità.

Elemento comune alle due città era il grande vulcano, che si ergeva maestoso e destava costante ammirazione negli abitanti dell’ una come dell’ altra città. Qualcuno ne aveva anche timore, perché si tramandavano storie di morte e distruzione, ma avvenute in epoche così lontane, che si poteva dubitare che non si trattasse di leggende e di storie più adatte a spaventare i bambini che ad impensierire gli adulti. Per la verità, in un periodo più recente, era fuoriuscita una colata di materiale incandescente che aveva destato preoccupazione, tanto che squadre dell’ una come dell’ altra città erano state inviate ad osservare l’ evento, ma il fenomeno si era arrestato dopo breve tempo limitandosi a demolire con alte fiamme un vecchio casolare abbandonato a ridosso del cratere.



Una mattina, gli abitanti della regione si svegliarono di soprassalto, perché delle forti scosse avevano fatto tremare le abitazioni. Usciti in maniera precipitosa dalle  case, rimasero ancora più atterriti, perché il cielo risultò coperto da una spessa coltre di fumo, che riusciva ad oscurare perfino il sole all’ orizzonte. Il vulcano, fino al giorno prima sonnacchioso e  pacifico, si rivelò subito all’ origine dei terribili fatti.  Una grande paura si impossessò degli abitanti e  riaffiorarono i ricordi degli antichi racconti.  Si temeva di essere alle soglie di un evento spaventoso e foriero di conseguenze drammatiche per tutto e per tutti. Nella Città Del Sole, in fretta e furia, venne convocato il grande consiglio delle autorità e dei saggi della comunità, presieduto dal Reggente Magnifico. Sull’ onda dell’ emozione suscitata dall’  evento, si alzarono molte voci che chiedevano di disporre un’ evacuazione immediata della città. Ad esse si contrapponevano le posizioni di chi invitava alla prudenza e all’  attesa di successivi eventi. E’ meglio, sostenevano questi ultimi, valutare in modo più ponderato e non prendere decisioni affrettate. Nel frattempo, la coltre di fumo si era incredibilmente dissolta e il sole era tornato a splendere alto sulla città. Nuove scosse non se ne avvertivano più. A quel punto prese la parola  il  Reggente Magnifico che pronunciò il seguente discorso: onorevoli saggi e  ministri, rappresentanti del clero, delle forze imprenditoriali e delle maestranze  di codesta grande ed illustre città,  io reggente più volte confermato alla guida di questo grande consiglio, condivido la preoccupazione sollevata da molte autorevoli voci, ma vi esorto a riflettere che chi amministra una città come la nostra, che ha un ruolo strategico nei traffici e nei commerci che fanno della nostra nazione una delle più prospere della terra, ebbene chi governa codesta città deve prendere decisioni improntate alla responsabilità e alla prudenza. Un brusio di approvazione si diffuse nella grande aula consiliare. E’ vero, riprese il Reggente Magnifico, che i nostri vecchi ci tramandano storie di tempi antichi che parlano di eventi luttuosi e catastrofici, ma non dimentichiamo che a quei tempi la società non aveva il nostro livello di sviluppo e non disponeva delle risorse tecniche e della capacità di realizzare grandi opere. Se dal vulcano dovesse fuoriuscire ancora quel materiale incandescente, come è successo negli anni passati e dovesse produrne in grande quantità, in misura tale, vi dico, da poter minacciare la nostra grande città, vi assicuro che i nostri genieri e le nostre squadre di operai, tecnicamente preparati e ben organizzati, riusciranno a erigere dei grandi muraglioni  e a scavare profondi valloni che saranno in grado di arrestare o convogliare la materia incandescente lontano dalla città. Di più, nell’ eventualità di un pericolo più incombente, vi ricordo che disponiamo di una delle più grandi flotte di navi, tutte moderne e veloci, che permetteranno a tutti i nostri cittadini di essere salvati, sempre nell’ eventualità che si verifichino fatti di maggiore gravità. Aggiungo che le leggi emanate dal nostro governo nazionale, non ci consentono di prendere decisioni così impegnative,  come l’ evacuazione della città, senza prima interpellare le nostre somme autorità centrali. A quel punto, dopo un iniziale silenzio, si alzò un grande applauso che si diffuse in tutti gli angoli della grande sala, mentre le voci di dissenso si fecero più sommesse e vennero presto zittite dalla corale approvazione ad un  discorso così autorevole e  ben argomentato.

Venne pertanto deciso di inviare delle squadre di tecnici ad ispezionare la sommità del vulcano e degli emissari alla  Città Della Gloria, capitale del regno. A questo punto si pose il problema di cosa dire alla popolazione, che fuori dal palazzo rumoreggiava e attendeva le decisioni del consiglio riunito. Si stabilì che, per motivi di ordine pubblico, venissero tenute nascoste tutte le notizie relative ai possibili pericoli e la gente venisse rassicurata che tutto era sotto controllo. La maggior parte della popolazione accolse di buon grado le notizie che  furono divulgate anche perché, più della paura del vulcano, fece leva sui loro cuori la reticenza ad  abbandonare i loro averi e i loro possedimenti. Si ebbe a segnalare solo qualche singola persona  che raccolse le sue cose e partì alla volta di altre mete.

Nel frattempo, nella Città Della Luna avevano luogo più o meno gli stessi accadimenti. Si riunì il consiglio, presieduto dal Reggente e composto dagli anziani e dai rappresentanti dei coltivatori e dei pastori. La situazione era migliorata e anche in questa assemblea le posizioni non erano unanimi, con due distinte fazioni che si davano battaglia con toni molto accesi, per cui dovette alzarsi il Reggente che, dopo aver invitato tutti alla calma, si accinse a pronunciare il proprio discorso. Ci fu un lungo momento di silenzio, dopo di che si udirono le seguenti parole: stimatissimi anziani e pregevoli rappresentanti, la decisione che nella veste di capo dell’  assemblea mi spetta di prendere  è gravida di conseguenze, sia che sposi l’ una o l’ altra tesi. E’ vero, come hanno sostenuto alcuni dei presenti, non vi è traccia nella memoria, sia  nostra  sia delle generazioni che ci hanno preceduto, di grandi sconvolgimenti provocati  dall vulcano che domina la nostra regione. Esistono solo antiche storie, ma non si sa quanto si  possano ritenere veritiere. E’ però altrettanto vero che il nostro vulcano non ha mai dato segni di agitazione e di turbolenza così grandi come quelli che si sono verificati in questa giornata, che incutono paura nei nostri cuori e possono essere presaghi di future sciagure. La decisione di abbandonare le nostre case è dura da accettare, in quanto significherà lasciare incustoditi i nostri beni, i nostri campi e i nostri animali per un tempo che non si può prevedere quanto possa essere lungo, ma ritengo che la vita della nostra gente sia un bene più prezioso dei loro averi e che vada preservata a prescindere di quelle che saranno le conseguenze, buone o cattive, che gli eventi futuri ci riserveranno. Mi assumo pertanto la responsabilità di ordinare l’ immediata evacuazione della città e che siano mandati banditori in tutte le nostre contrade ad avvisare la popolazione del grave pericolo che ci minaccia.  Tutti devono essere invitati a lasciare la nostra terra e a farlo nel più breve tempo possibile, portando con sé il minimo indispensabile affinché non si abbia impedimento alcuno che rallenti la marcia. 

Pur con qualche malumore e qualche defezione, la gente della Città Della Luna iniziò a formare lunghe colonne silenziose, che intrapresero la via che portava verso un ignoto destino. In lontananza si udivano gli echi di una grande festa organizzata nella Città Del Sole quando, dalle viscere della terra, cominciò a salire  un rombo sordo che scosse gli animi di chi era partito e di chi era restato.










domenica 1 febbraio 2015

Come non deve essere la comunicazione nei periodi di emergenza: l' esempio (incompreso) della pandemia del 1918



Durante l’ autunno del 2009  era alta l’ attesa in Italia  per l’ arrivo del nuovo virus influenzale H1N1, battezzato dall’ OMS come il protagonista della prima pandemia del 21° secolo. Il virus viene chiamato inizialmente messicano perché dal Messico, precisamente dal villaggio di La Gloria, sembra sia partito il primo focolaio epidemico, anche se il primo isolamento è avvenuto in un bambino americano, figlio di un militare. In seguito viene abbandonata la dizione di tipo geografico e viene adottato il termine di suina, per sottolineare la provenienza del virus dalle popolazioni dei maiali che per lunghi anni sono stati depositari dei predecessori del virus, prima di produrre una variante che, grazie all’ innesto di componenti umane e aviaria, è stata capace di trasmettersi efficacemente negli uomini. Tale termine, anche se impropriamente, viene utilizzato ancora oggi in merito ai casi riportati dalle cronache in varie parti del mondo. I primi casi sporadici nel nostro paese si sono verificati durante l’ estate del 2009, per lo più di importazione. A fine agosto fa scalpore la notizia di un ragazzo di Parma che viene colpito da una forma particolarmente severa  e che solo dopo diversi giorni di ricovero in terapia intensiva a Monza riuscirà a sconfiggere il virus. Nel frattempo prendono sempre più piede le voci che vedono nella nuova epidemia l’ ennesimo falso allarme lanciato dalle autorità mondiali, per suscitare paure ingiustificate e favorire gli interessi di importanti gruppi economici che lavorano nel campo della produzione di vaccini e di farmaci antivirali. L’OMS, in verità, ha esitato non poco  prima di annunciare la fase 6, che è quella che segna ufficialmente l’ inizio di una nuova pandemia e l’ avvio dei piani di preparazione da parte di tutte le nazioni. Per ben 5 settimane la lancetta rimane ferma alla fase 5 e, in quel periodo, sono molte le pressioni che arrivano da varie parti per non fare un passo che avrebbe potuto creare eccessivo allarme nelle popolazioni mondiali. Il virus infatti, nonostante una propensione a diffondere con grande velocità e a raggiungere in tempi brevi diversi paesi in diverse aree del pianeta, non sembra così aggressivo come i primi casi avevano fatto temere. E’ vero che non mancano segnalazioni di casi gravi che risultano colpire particolarmente i soggetti giovani, ma si è ben lontani dagli scenari catastrofici che la crescente pericolosità dei virus aviari aveva fatto prevedere. Si cerca di mettere a punto frettolosamente un sistema che tenga conto anche della gravità, ma si sarebbe dovuto necessariamente tener conto di un impatto diversificato a seconda dei vari paesi colpiti e, alla fine, si giunge alla proclamazione della fase 6 sulla base del dato della diffusione planetaria. In tempi successivi un apposita commissione di esperti, chiamati a dirimere la questione se sia stato giusto o meno fare tale annuncio, si pronuncerà prosciogliendo l’ OMS dalle accuse che le erano state rivolte, anche se punta il dito su alcune ombre nella gestione delle fasi dell’ emergenza.

 Ma torniamo all’ Italia. I piani pandemici, predisposti fin dal 2006, sono già operativi e dalla fase di contenimento si passa alla  fase di mitigazione. A questo scopo sono stati sottoscritti i contestatissimi accordi tra il governo italiano, rappresentato dal ministro Sacconi, e la casa farmaceutica Novartis, per l’ acquisto di 184 milioni di euro di vaccini. Gli accordi secretati verranno poi divulgati dalla rivista Altreconomia. Il governo decide di varare una campagna informativa sia mediante l’attivazione di un numero verde dedicato sia con la scelta di un testimonial che viene ripescato dalla tradizione televisiva di 50 anni prima:  Topo Gigio.

Lo scopo evidente è quello di utilizzare un volto famigliare e accattivante per diffondere messaggi di tranquillità alla popolazione e per fugare ogni motivo di allarme. In alto nella locandina campeggia la scritta: l’ influenza H1N1 è un’ influenza come tante. A rafforzare questo messaggio ci sono anche le prese di posizioni dei rappresentanti delle nostre istituzioni che di fronte ad ogni caso grave e fatale hanno attribuito le cause alle condizioni precarie  di salute delle persone colpite. Il ministro Fazio, quando l’ epidemia era ancora agli inizi, rilascia un comunicato ripreso da più testate giornalistiche in cui afferma che, in base ai primi bilanci, si trattava di un’ influenza più leggera di quelle stagionali. Questi messaggi hanno finito per disorientare la popolazione a cui, nel contempo, si chiedeva uno sforzo non comune per aderire ad una campagna di vaccinazione senza precedenti  e hanno finito per rendere ancora più radicata la convinzione che si trattasse in realtà di una gigantesca montatura a danno delle finanze dello stato e della salute della gente. Il risultato è stato il flop della campagna preventiva, con le persone che hanno finito per temere di più i rischi dell’ iniezione rispetto ai rischi della malattia. L’ intenzione è stata certamente quella di evitare il panico e i problemi di ordine pubblico, con i servizi di emergenza presi d’ assalto e l' abbandono dei luoghi di lavoro ma il risultato è stato che non poche persone si sono ammalate gravemente e sono decedute per aver sottovalutato il pericolo e per non essersi adeguatamente protette. Il bilancio conclusivo non è stato certamente drammatico, ma viene da chiedersi che cosa sarebbe potuto accadere se l’ epidemia si fosse manifestata in forma più severa e non si fosse cambiato registro nelle comunicazioni ufficiali.

Abbiamo un precedente importante che illustra bene che cosa può comportare questo tipo di atteggiamento da parte delle autorità pubbliche. (1)

Evitiamo gli errori del 1918




Negli USA le prime avvisaglie di quella che sarebbe stata una delle peggiori catastrofi nella storia dell’ umanità si hanno nella primavera del 1918, ma non lasciano presagire quello che sarebbe avvenuto in seguito. Gli effetti sono più evidenti in Europa, dove iniziano a morire parecchi soldati impegnati nei fronti della grande guerra. Alla fine dell’ estate un’ epidemia più severa colpisce la Svizzera e, a questo riguardo, i rapporti dell’ intelligence parlano di una situazione che richiama le epidemie di peste delle epoche medievali.

Il governo americano decide di adottare la stessa strategia di comunicazione utilizzata per informare la popolazione sull’ andamento della guerra, che consiste nel dare un’ immagine edulcorata di quella che è la cruda realtà dei campi di battaglia. La gente non ha diritto di conoscere come stanno realmente le cose perché ha un livello infantile di comprensione e la conoscenza della verità potrebbe generare malcontento e contrarietà.

Quando l’ epidemia si diffonde nel territorio americano, il presidente non rilascia nessuna dichiarazione e i membri del suo governo si limitano a dare notizie rassicuranti. Secondo i responsabili dell’ amministrazione pubblica non c’ è motivo di creare allarmi quando vengono prese le giuste contromisure per far fronte alla minaccia. A questa strategia  si allineano anche i politici e gli ufficiali sanitari a livello periferico. Il direttore della salute pubblica di Chicago afferma che il suo compito è quello di tenere la gente lontana dalla paura perché la preoccupazione uccide più della malattia. Tutti i  messaggi che arrivano alla popolazione attraverso i vari canali della comunicazione sono rivolti a trasmettere  un senso di sicurezza e di controllo, sui cartelloni pubblicitari spicca la scritta che si tratta solo della vecchia influenza mascherata sotto un nuovo nome. Ma in realtà non è una banale influenza, poiché  si muore anche  in  24 ore e i quadri sono talmente gravi da venire scambiati per tifo o colera. In alcuni casi le persone ammalate perdono sangue non solo dalla bocca e dal naso, ma anche dalle orecchie e dagli occhi.

Nonostante la gravità della situazione il governo e i giornali continuano a rassicurare. A Filadelfia, il responsabile locale per la salute assicura che non ci sarà nessuna difficoltà nel contenere l’ epidemia. Quando il bilancio delle vittime comincia a salire afferma che la situazione è sotto controllo. Quando muoiono 200 persone in un giorno dichiara che il picco della malattia è già stato raggiunto. Quando ne muoiono 300 giura che si è arrivati alla cima. Alla fine i decessi toccano i 759 in un solo giorno e la stampa locale smette di interpellarlo. In molte altre località si adotta la stessa strategia, nonostante che il numero di decessi sia talmente alto che si rende necessario scavare delle fosse comuni. A Camp Pike,  8000 soldati vengono ricoverati nell’ arco di 4 giorni, ma un giornale di una località vicina scrive che l’ influenza spagnola è uguale alla normale influenza: stessa febbre e stessi brividi.

La conseguenza di questa strategia di comunicazione è il terrore. La gente perde la fiducia nelle pubbliche autorità e finisce per dare ascolto alle voci e alle fantasie più terribili. Si comincia ad avere paura di ogni contatto umano fino ad arrivare alla rottura del tessuto che tiene unita una società. Ovunque la paura, non la malattia, tiene le persone in casa con il risultato di provocare un massiccio assenteismo. Le conseguenze sono gravissime per tutte le attività sia pubbliche ( a cominciare dagli ospedali) che  economiche, con la paralisi delle attività lavorative, dei trasporti e dei mezzi di comunicazione, aumentando così il senso di isolamento delle persone. La gente muore di fame perché i negozi hanno le saracinesche chiuse e non c’ è nessuno che porta cibo nelle case, per paura della malattia. Se fosse durata ancora qualche settimana si sarebbe arrivati al crollo completo della società civile.

Ma ci sono stati anche esempi virtuosi come a San Francisco dove, dopo un momento di sbandamento iniziale, le pubbliche autorità si sono rimboccate le maniche e hanno iniziato a dare informazioni semplici ma concrete, come l’ invito a indossare le maschere e la società ha retto all’ impatto senza crollare completamente. Si è visto che quando la gente è correttamente informata diventa capace di atti di abnegazione e di eroismo.



Questa  lezione dovrebbe valere anche per i nostri giorni,
 ma purtroppo non è stata fatta propria dai nostri amministratori. In occasione dell’ emergenza pandemica, l’ atteggiamento è stato di negare che esistesse una vera emergenza e si è affermato ripetutamente  che le persone non correvano nessun serio pericolo a meno che non fossero affette da gravissime patologie. In realtà non poche persone perfettamente sane sono state ricoverate per periodi prolungati e sottoposte a terapie rianimatorie impegnative e molte sono decedute. Le conseguenze non sono state drammatiche così come è avvenuto con i fatti del 1918 solo grazie ad un’ epidemia che si è dimostrata relativamente blanda. Ma il doppio binario seguito dalle nostre autorità, con lo sforzo prodotto per mitigare i danni della pandemia  vanificato da un’ informazione che è sempre stata tesa a  minimizzare i rischi, ha portato alla perdita di fiducia da parte della popolazione e  all’ abbandono di pratiche sicure come la vaccinazione, con ripercussioni negative non solo nell’ immediato ma anche negli anni a venire.  Se il virus non è  dissimile dalle  comuni influenze del passato, perché le persone di mezza età, affette da patologie non particolarmente gravi o appartenenti a categorie non tradizionalmente associate ad un rischio elevato, come le donne in gravidanza o gli adulti in soprappeso, dovrebbero preoccuparsi di un pericolo che non si è mai presentato come tale davanti ai loro occhi? Per evitare allarmi eccessivi e disordini si è rinunciato a condurre idonee campagne di sensibilizzazione che rendano consapevoli le persone e  si è cercato invece di scaricare la responsabilità sui singoli individui, rei di non aver adottato comportamenti sicuri, vuoi per convinzioni personali vuoi perché spaventati da notizie  infondate come quella relativa alle morti associate alvaccino Fluad ( non dimentichiamo che l’ allarme è partito da un  ente istituzionale).
Il mondo è certamente diverso da quello del 1918, ma la pandemia del 2009 e la vicenda dell’ epidemia di ebola hanno dimostrato quanta strada ancora si debba fare per riuscire a fronteggiare in maniera adeguata le emergenze e dobbiamo ringraziare solo la “mitezza” della prima e la scarsa trasmissibilità del secondo se non siamo stati sommersi come nel 1918. 
Un ruolo chiave è dato dalla comunicazione, che deve essere trasparente, equilibrata e coerente, non allarmistica ma neppure reticente e deve saper dare una chiara indicazione di quali siano i rischi reali e quali i margini di incertezza. L’ obiettivo deve essere quello di costruire un clima di fiducia e di far sentire la gente una parte direttamente coinvolta nella gestione della crisi  e non una mandria da governare. E’ iniziato il conto alla rovescia per la prossima emergenza. Non facciamoci trovare ancora impreparati.


1) Pandemics: avoiding the mistakes of 1918
John M. Barry
Nature 459, 324-325 (21 May 2009) | doi:10.1038/459324a