domenica 29 marzo 2015

La vaccinazione universale per l' influenza in una società responsabile e matura


Articolo dedicato al compianto prof.Bartolozzi, grande sostenitore della vaccinazione universale



Le vaccinazioni rappresentano una delle maggiori conquiste del passato e una grande opportunità per il presente, anche se oggi sono minate da una disaffezione crescente nei loro confronti  a causa delle voci tendenziose che puntano a sminuirne la portata, alimentate dalla rete e sostenute da personaggi dal dubbio profilo. Ma se le nostre ultime generazioni sono al riparo da rischi importanti per la salute e hanno prospettive di vita molto migliori rispetto ad un passato non molto lontano, questo lo dobbiamo proprio alle campagne di vaccinazione che nel corso degli ultimi 200 anni hanno permesso di debellare o di limitare in maniera drastica malattie che un tempo avevano pesanti ricadute sulla popolazione. La vaccinazione rappresenta un atto di tutela della salute dell’ individuo ma anche di responsabilità sociale, perché ogni soggetto vaccinato entra a far parte di una rete che è in grado di proteggere non solo le persone che si vaccinano, ma anche quelle che non possono  o non vogliono vaccinarsi o le persone più deboli su cui l’ efficacia del vaccino può essere minore. Tanto più fitta sarà questa rete tanto più forte sarà l’ azione di scudo che potrà svolgere.

Con un sufficientemente alto livello di copertura vaccinale è possibile arrivare alla completa eradicazione di malattie con ricadute importanti sulla salute, ma perché questo avvenga devono essere soddisfatte determinate condizioni. Innanzitutto è necessario che l’ uomo sia l’ unico serbatoio e che l’ immunità fornita dall’ infezione naturale e/o dal vaccino sia permanente. Inoltre l’ agente eziologico deve essere geneticamente stabile e il vaccino deve avere un’ alta efficacia. I virus della poliomielite e della difterite sono stati debellati, almeno nei paesi occidentali, proprio grazie al fatto di rispondere a questi requisiti e alle ampie campagne di vaccinazione che sono state messe in atto fin dagli anni 50. L’ adesione è stata fin da subito massiccia, grazie alla immediata percezione della pericolosità dei germi coinvolti. Un risultato analogo si punta ad ottenerlo oggi  per il morbillo, ma ad ostacolarne il raggiungimento si frappone una non così convinta determinazione della popolazione e l’ alto livello di copertura vaccinale richiesto, pari almeno al 95% della popolazione. La copertura vaccinale deve essere tanto più alta, quanto maggiore è la contagiosità del virus.
Questa viene espressa da un indice denominato Rzero, che esprime quanti soggetti in media possono contrarre l’ infezione da un individuo malato. Mentre la poliomielite e la difterite hanno un valore di 5-6, il morbillo ha un valore di 18. Il livello di copertura che può garantire l’ eradicazione di una malattia è dato dalla differenza tra 1 e 1 fratto Rzero (1-1/Rzero), da cui si ricava una percentuale del 95% per il morbillo e dell’ 80-85%  per la poliomielite e la difterite.

Anche l’ influenza comporta un notevole impatto sulla popolazione in termini di costi umani, sanitari e sociali di cui esiste ormai ampia documentazione ma purtroppo non altrettanta consapevolezza, almeno nell’ opinione pubblica della maggior parte dei paesi, compresa quella italiana. Si è soliti considerarla una malattia banale ( spesso il termine influenza è associato a quadri poco rilevanti nell’ ambito giornalistico) e tutt’al più un problema solo per persone molto anziane o fragili. Questi atteggiamenti si sono rinforzati dopo l’ avvento del virus pandemico nel 2009, quando l’ informazione ufficiale ha cercato di minimizzare i rischi potenziali, nonostante si impegnasse a sostenere una campagna di vaccinazione senza precedenti, con conseguenze devastanti nei confronti della credibilità delle istituzioni e delle campagne preventive da queste promosse. Il calo preoccupante che si è registrato nelle coperture vaccinali degli ultimi anni ( non solo per l’ influenza) è in parte da attribuire a questa gestione sconsiderata. Al contrario, nei paesi in cui esiste una letteratura e una cultura ormai consolidate, l’ influenza rappresenta una priorità nell’ agenda degli interventi sanitari, con impiego ingente di risorse e ampia adesione della popolazione alle campagne preventive. Nei primi paesi la vaccinazione viene proposta solo alle categorie più deboli, mentre nei secondi l’ offerta è universale, dai bambini a partire dall’ età di 6 mesi fino agli anziani.

Purtroppo, qualunque sia la strategia di lotta messa in atto, non sarà mai possibile arrivare al traguardo dell’ eradicazione della malattia, almeno non con i vaccini attuali. Nonostante il virus influenzale abbia un indice di contagiosità (Rzero) molto basso, pari a 2, in base al quale basterebbe una copertura del 50% della popolazione, il genoma influenzale subisce costanti variazioni, sia per intrinseca capacità di sfuggire alle nostre difese sia perché può ricevere nuovi innesti dagli ampi serbatoi animali presenti in natura. Inoltre gli attuali vaccini, pur vantando ottimi risultati negli studi preclinici, non sono stati in grado di confermarli anche nelle verifiche sul campo. Negli anni in cui la corrispondenza tra i ceppi presenti nel vaccino e quelli effettivamente circolanti è buona, l’ efficacia arriva al massimo al 70% per scendere a livelli molto bassi quando questa corrispondenza non c’ è. Come abbiamo discusso nel precedente articolo, i vaccini attuali sono il prodotto di una tecnologia che sopravvive praticamente immutata da quasi 80 anni e non hanno saputo approfittare delle nuove acquisizioni in campo biotecnologico. Le ultime meta-analisi hanno inoltre messo a nudo tutti i limiti delle attuali strategie di vaccinazione, incentrate sulla protezione dei soli soggetti a rischio, come gli anziani e i soggetti con sistema immunitario più debole. Gli anziani sono storicamente indicati come il gruppo a più alto rischio e sono il principale target delle campagne di immunizzazione, ma gli studi sull’ impatto delle attuali campagne sia negli USA che in Italia non hanno mostrato nessun beneficio nonostante un aumento nel corso degli anni della percentuale dei vaccinati, contraddicendo gli apparenti buoni risultati degli studi di tipo osservazionale. Nel 2006 Jackson e al hanno messo in luce significativi bias  di questi studi, legati al fatto che gli anziani che si vaccinano sono avvantaggiati da un migliore stato di salute e da una maggiore mobilità. Uno studio appena uscito per mano di esperti della CDC di Atlanta ha rivelato modesti effetti della vaccinazione sulla severità della malattia nel corso della stagione 2012-13, malgrado la buona corrispondenza tra ceppi in circolazione e quelli presenti nel vaccino.

Tutte queste considerazioni dovrebbero portare ad un ripensamento delle attuali strategie di vaccinazione e spingere verso una vaccinazione universale, come avviene già negli Stati Uniti e in pochi altri paesi,  il cui punto di forza è dato dalla copertura dei soggetti in età pediatrica. Infatti i bambini in età prescolare e scolare sono il serbatoio principale dell’ influenza  e da essi il virus tende a propagarsi alle altre classi di età. Hanno i tassi di attacco più elevati, una  minore osservanza di misure igieniche e sono in stretto contatto gli uni con gli altri e con i loro famigliari. Tendono anche ad avere tempi maggiori di escrezione virale nell’ ambiente, sia prima che dopo l’ inizio dei sintomi, rispetto agli adulti. L’ idea è quella che riuscendo a impedire o a limitare fortemente la circolazione del virus nella popolazione più ricettiva, si riesca a realizzare una immunità di gregge, che è quel fenomeno per cui i benefici di una vaccinazione di un numero consistente di individui si estendano anche al resto della comunità. Siccome è necessario disporre di un vaccino che sia efficace, un buon candidato in questo senso è il vaccino vivo attenuato per via nasale (LAIV) che viene somministrato negli Stati Uniti a partire dal 2003 e che si è dimostrato superiore in diversi trials rispetto ai vaccini iniettivi, oltre ad essere l’ unico in grado di proteggere nei confronti di ceppi non presenti nel vaccino.  Nelle meta-analisi citate sopra sono gli unici vaccini con buone evidenze di efficacia nel corso degli anni, in parte offuscate da un fallimento nella stagione 2013-14 nei riguardi del ceppo H1N1, ma il problema sembra essere stato individuato in un componente tremolabile  e si spera che possa essere risolto nelle prossime produzioni.

Sono diversi gli studi che dimostrano che è possibile realizzare un’ effettiva herd immunità vaccinando i bambini. 

La vaccinazione dei bambini sani


Uno dei primi è quello realizzato nel Michigan mettendo a confronto due diverse cittadine. A Tecumseh, più dell' 85% di 3159 bambini di età scolare ha ricevuto il vaccino inattivato con una maggiore protezione a livello di comunità rispetto alla località di Adrian, dove il vaccino non è stato utilizzato: un' incidenza 3 volte minore di ILI tra individui di tutte le età.


In uno studio del Maryland, il LAIV fu somministrato al 40% dei bambini di una scuola e altre due fecero da controllo. Un numero significativamente minore di visite mediche di bambini e adulti, di farmaci acquistati e di giorni di assenteismo si registrarono tra bambini e adulti di famiglie i cui bambini furono immunizzati. 
 

 A Temple-Belton, nel Texas, i bambini di età scolare di due contee furono immunizzati con Laiv e confrontati con bambini non immunizzati di tre altre contee per quanto riguarda l' incidenza di malattie respiratorie nei soggetti con più di 35 anni. Anche se il grado di copertura vaccinale non superò il 20-25%, venne documentata una protezione pari all' 8-18% degli adulti. 


La vaccinazione del 47,5% dei bambini delle scuole elementari in 28 scuole della contea di Bell, nel Texas, con una dose di LAIV ha determinato una significativa herd immunity, con una riduzione di malattie acute respiratorie in tutte le classi di età, ad eccetto di quella 12-17, nonostante che nella comunità protetta vi fosse un eccesso di ultra settantacinquenni.



Un altro studio sull' efficacia di una campagna per promuovere la vaccinazione contro l' influenza nelle scuole, a Los Angeles, rileva come nelle scuole in cui tale campagna ha avuto luogo dal 27 al 46.6% degli studenti ha ricevuto almeno una dose di vaccino, rispetto allo 0,8-4,3% delle scuole in cui il vaccino non è stato attivamente promosso. Mediante controllo con test PCR, gli studenti delle scuole partecipanti al programma hanno avuto il 30,8% in meno di infezione documentata per influenza, indipendentemente dallo stato vaccinale. Nelle scuole in cui la percentuale di vaccinati si è avvicinata al 50% si è registrata una significativa herd immunity.





Gli studi elencati sopra hanno riguardato piccole comunità, ma in Canada ne è stato compiuto uno che ha coinvolto un intero stato. Nel 2000, nell’ Ontario, è iniziata una campagna di vaccinazione universale per l' influenza rivolta a bambini di età superiore a 6 mesi, mentre  gli altri stati hanno continuato nella tradizionale offerta alle sole categorie a rischio. Nell’ Ontario il tasso di vaccinazione è cresciuto del 20% rispetto all' 11% delle altre province. Il tasso di mortalità per influenza e le richieste di assistenza per problemi collegati sono diminuite in modo significativamente maggiore  rispetto alle altre province. La campagna ha portato l' adesione alla vaccinazione dal 18% della popolazione nel 1996 al 42% nel 2005.
Analizzando i dati relativi a mortalità, ospedalizzazioni e visite al pronto soccorso tra il 1997 e il 2004, confrontandolo con quelli di tre province vicine ( Alberta, Quebec e Manitoba), si ha avuto un calo di tali eventi dal 40 al 60%. Nel dettaglio si sono registrate 34000 casi, 111 morti, 780 ospedalizzazioni e 7745 visite al pronto soccorso in meno. Il che, tradotto in soldi, ha portato ad un risparmio di 7,8 milioni di dollari ( la spesa sostenuta e' stata di 40 milioni di dollari canadesi).
Valutando la spesa in termini di anni di vita in condizioni di benessere (quality-adjusted life years (QALY) il costo sostenuto è risultato essere pari a 10,797 dollari per ogni anno. Si ritiene costo-efficace una spesa inferiore a 50 dollari per anno di vita in condizioni di benessere. 
 

Un limite di questi studi è di essere di tipo osservazionale, il che non significa che non abbiano valore, ma li espone ad un elevato rischio di errori interpretativi (bias). Un lavoro molto ingegnoso nella sua concezione, in quanto si e' riuscito ad ovviare al problema di come fare uno studio in una comunità secondo i principi della randomizzazione, è quello realizzato da Loeb nelle comunità chiuse degli Hutteriti,  i cui membri sono anabattisti fondamentalisti che vivono in colonie separate. Ogni colonia ha 60-120 persone di tutte le età. Anziché randomizzare gli individui, hanno randomizzato le colonie, vaccinando i bambini di età tra i 3 e i 15 anni in alcune contro l' influenza e in altre contro l' epatite A per poi valutare gli effetti sulla persone anziane.  Lo studio e' stato fatto parzialmente in cieco, in quanto le infermiere che somministravano il vaccino erano diverse da quelle che hanno poi fatto la valutazione degli esiti. La copertura vaccinale dell' 80% dei bambini sani in età scolare è stata capace di produrre un’ herd immunità significativa. I più anziani vengono protetti anche senza vaccinarsi.
Ovviamente le comunità chiuse degli Hutteriti sono diverse dalle più complesse comunità urbane, molto più affollate e con maggiori scambi e quindi i risultati non sono trasferibili automaticamente a queste, ma lo studio fornisce comunque una prova convincente dell' efficacia della vaccinazione dei soggetti in età pediatrica. 


Esiste anche un modello di vaccinazione universale eseguito a livello nazionale che si è prestato a delle interessanti valutazioni. In Giappone dal 1977 al 1987 è stato avviato un programma di vaccinazione di tutti i bambini in età scolare che ha raggiunto un grado di copertura del 50-85% dei bambini di età 3-15 anni. Il programma è stato ufficialmente interrotto nel 1994, quando si è passati alla vaccinazione dei soli senior.
Il gruppo di studiosi che fa capo alla epidemiologa Lone Simonsen  ha riesaminato i dati relativi alla mortalità correlata alle varie età, confrontandola con quella registrata negli USA nello stesso periodo di tempo ( quando ancora non era stata adottata questa politica). L' impatto è stato molto significativo, con una riduzione della mortalità del 36% tra le persone anziane e circa 1000 decessi evitati ogni anno. 


Recentemente l’ Inghilterra ha dato il via ad un ambizioso programma che si ripropone nel giro di pochi anni di estendere la vaccinazione con il LAIV (vaccino vivo nasale) a tutti i bambini sani di età 2-16 anni.
La scorsa stagione si è iniziato con la vaccinazione dei bambini di 2 e 3 anni e, in alcune aree pilota, di tutti i bambini di età 2-16. Su Eurosurveillance è stato pubblicato il primo resoconto relativo alle aree pilota ( corrispondenti a ca il 5% della popolazione inglese), utilizzando come confronto le altre aree. La percentuale di soggetti target vaccinati è stata superiore al 50% e su tutta una serie di parametri ( incidenza di ILI, tamponi positivi, accessi al pronto soccorso, ospedalizzazioni), pur non raggiungendo valori statisticamente significativi, si è ottenuto un miglioramento sensibile sia nei soggetti vaccinati sia nelle altre categorie, ad eccezione dei più anziani ( ma si è trattato di un anno a bassa incidenza di malattie influenzali e il virus prevalente è stato l' H1N1, che tende a risparmiare proprio i più anziani).





In Italia l’ unico laconico riferimento alla vaccinazione dei bambini sani è quello che appare nel documento introduttivo ad ogni stagione influenzale a cura del ministero della salute, in cui si afferma che non si ritengono al momento sufficienti i dati raccolti nei paesi in cui tale programma è stato adottato.



La  stagione che sta giungendo al termine è stata caratterizzata da un drammatico impatto sulle strutture sanitarie, con numerosi casi gravi di influenza e diversi decessi, da attribuire non solo alla circolazione di varianti più aggressive del virus influenzale rispetto alle stagioni precedenti, ma anche ad un livello di copertura vaccinale che è ben lontano dagli obiettivi ritenuti appena sufficienti per le categorie a rischio e con un trend in progressiva discesa nel corso degli ultimi anni. Ma anche  di fronte a tanti eventi tragici, documentati più dalle cronache dei giornali che dagli asettici bollettini ufficiali, non si ritiene di dare risposte diverse da quelle che già si sono ascoltate in tutti questi anni, ribadendo strategie che si sono dimostrate poco efficaci e mantenendole solo per dare la parvenza di fare qualcosa, senza avere il coraggio di cercare altre strade e altre soluzioni. Nei confronti di altre malattie si è capito il ruolo di vaccinare tanti soggetti, molti dei quali mai si ammalerebbero o avrebbero gravi conseguenze, per proteggere quelli più vulnerabili. Si è capito l’ importanza di vaccinare i maschi contro la rosolia o, in tempi più vicini a noi, contro il papillomavirus perché indirettamente si proteggono anche le donne più esposte ai rischi che possono derivare da queste malattie. Per l’ influenza ci si limita a scaricare la responsabilità sulle persone più svantaggiate e ad addebitare a loro la colpa delle eventuali conseguenze negative, finendo per ghettizzare queste categorie di individui. 
Una società matura non dovrebbe dividersi tra soggetti a rischio e non a rischio, ma considerare tutti parte di un unico corpo in cui i più forti sostengono i più deboli e in cui è  possibile realizzare un patto generazionale tra le due età estreme, con i bambini che tendono la mano agli anziani che si prendono cura di loro senza timore di trasmettergli un virus potenzialmente mortale.

















 






































domenica 22 marzo 2015

Vaccini per l' influenza: nuove sfide e nuove frontiere








La stagione 2014-15 che sta giungendo a conclusione si è rivelata  una delle più severe degli ultimi anni e questo è in parte dovuto all’ emergenza di un ceppo non previsto dalle delibere dell’ OMS, che ha determinato una scarsa efficacia del vaccino proposto quest’ anno. Al vaccino influenzale va riconosciuto senz’ altro il merito di porre un argine importante a  quello che è il pesante impatto dell’ influenza sulla popolazione, ma nel corso degli anni sono emerse numerose criticità che fanno capire che è probabilmente  giunto il momento  di esplorare altre strade.

Alcuni studi recenti hanno messo in discussione il ruolo delle campagne di  vaccinazione basate sulla proposta dei vaccini tradizionali e che vedono come target le persone anziane e quelle appartenenti alle categorie a rischio. Osterholm nel 2011 ha pubblicato una meta-analisi che ha messo al setaccio più di 5000 studi pubblicati dal 1967 in avanti e ha trovato che solo 31 di questi forniscono prove convincenti dell’ efficacia dei vaccini antinfluenzali, ma queste riguardano solo categorie come i giovani adulti ( 18-65) e non i soggetti anziani e i bambini, almeno per il vaccino iniettivo. Per il vaccino basato su virus vivi da somministrare per via nasale, 10 RCT dimostrano un’ efficacia dell’ 83%, ma solo nei bambini di età compresa tra 6 mesi e 7 anni. 

Risultati simili si hanno nelle analisi della Cochrane riguardo adulti  e bambini.

   Il fatto è che il vaccino dell’ influenza, a distanza di quasi 80 anni dalla realizzazione dei primi prototipi, non ha avuto un’ evoluzione che permettesse di rispondere pienamente alle sfide rappresentate da un virus che fa delle continue variazioni e riarrangiamenti i suoi punti di forza.



Dati storici



L’ influenza è una malattia che ha un impatto severo sulla  popolazione e si stima che provochi, solo in Italia, una media di 8000 decessi all’ anno, in particolare tra i soggetti anziani e fragili. Da 5 anni è in circolazione il nuovo virus H1N1 che ha per target la fascia di popolazione tra i 40 e i 60 anni, anche se ci sono segnali che stia lentamente spostando il suo raggio d’ azione verso le persone di età più avanzata. E’ dai tempi della grande pandemia del 1918 che si è cercato di mettere a punto sistemi efficaci per combattere la malattia, ma solo dopo che è stato scoperto il virus, dapprima nei suini e poi nell’ uomo, nei primi anni 30, che si sono iniziati a sperimentare i primi vaccini. Il primo a realizzare un vaccino, del tipo vivo attenuato, è stato Smorodintseff nel 1936, che sarà poi utilizzato in Russia per 50 anni, ma che presentava vari problemi quali instabilità, rischio di ricombinazione con ceppi selvaggi, preesistente immunità che ne riduceva l’ efficacia. Il primo vaccino inattivato è stato realizzato negli USA nel 1938  da Thomas Francis e da Jonas Salk ( che metterà poi a frutto tali studi per realizzare il vaccino contro la poliomielite), ottenuto da un ceppo denominato PR38, isolato a Portorico nel 1934,  fatto proliferare nella cavità allantoidea delle uova embionate di gallina e successivamente disattivato con formalina, destinato alle truppe impegnate sui vati fronti di guerra.  Il primo vaccino inattivato era monovalente ( tipo A) e nel 43, dopo la scoperta del ceppo B, divenne bivalente. Nel 1947, dopo alcuni anni di risultati soddisfacenti, ci fu un calo di efficacia che venne attribuito, grazie alle prime indagini microbiologiche disponibili all’ epoca, a una modifica del ceppo per quello che in gergo tecnico viene definito drift. I virus influenzali sono soggetti a modifiche estese (shift) che danno origine a nuovi ceppi pandemici e a drift, che sono cambiamenti minori, ma comunque in grado di evadere la risposta anticorpale indotta da precedenti infezioni o vaccinazioni, da cui deriva la necessità di riformulare periodicamente i componenti del vaccino.

Dopo la pandemia del 1957, venne aggiornata la nomenclatura del virus, passando dal sottotipo H1N1 all’ H2N2 - un’ altro cambiamento importante avverrà nel 1968 con l’ entrata in scena del virus H3N2 - e si iniziò a proporre annualmente un vaccino che tenesse conto delle variazioni continue dei virus sia di tipo A che B. Nel 1978, con il ritorno in circolazione del virus H1N1, forse sfuggito ad un laboratorio dell’ ex Unione Sovietica, il nuovo ceppo venne stabilmente aggiunto dando inizio alla presente era del vaccino trivalente.

Tradizionalmente vengono usate le uova di gallina come terreno di coltura per lo sviluppo dei vaccini. I ceppi devono poter crescere rapidamente senza determinare un’ immediata morte cellulare ed essere portatori degli antigeni di superficie emagglutinina (HA) e neuraminidasi (Na) dei virus candidati per il vaccino. Per far questo si utilizzano in genere i ceppi ricombinanti 6:2, che hanno le 6  proteine interne ricavate dal virus PR38 o altri simili, a cui vengono aggiunte le proteine di superficie dei ceppi selvaggi verso cui si vuole dare protezione. Per far questo, in un primo tempo si sono utilizzate tecniche di riassortimento, co-infettando le stesse cellule con i diversi tipi di virus in modo che avvenisse lo scambio di materiale genetico e più recentemente con il metodo della reverse genetic, attraverso cui è possibile inserire uno specifico gene all’ interno del genoma  virale ottenendo risultati più precisi.

I componenti virali ricavati dalle uova devono essere purificati per limitare gli effetti avversi legati ai componenti del terreno di coltura. Le prime tecniche di purificazione impiegavano l'assorbimento del virus tramite i globuli rossi di pulcino a 4 °C e poi l'eluizione a 37 °C, ma il risultato non era ottimale. Tecniche successive si sono avvalse  della centrifugazione differenziale ad alta velocità del fluido allantoideo per separare il virus dai contaminanti solubili, mediante sedimentazione. Questo approccio è stato poi perfezionato con metodiche che utilizzano il gradiente di densità, in cui il virus viene centrifugato ad alta velocità in un gradiente di saccarosio o con la centrifugazione a flusso continuo.

Dal 2007, alle colture nelle uova embrionate si è aggiunta la possibilità di far crescere i virus nelle linee cellulari di mammiferi, come le cellule VERO ( scimmia) e MDCK ( cane)  e vaccini così prodotti hanno avuto l’approvazione dell’ Ente Europeo per i Farmaci (EMA). Questo sistema ha  il vantaggio di non dipendere dalla fornitura di uova, che possono essere carenti a causa delle epidemie che in maniera ciclica colpiscono gli allevamenti e di evitare reazioni allergiche, ma le tecniche di produzione non sono semplici e al momento questo tipo di vaccini copre solo una quota marginale del mercato.

Uno dei problemi maggiori delle attuali strategie di produzione sono i lunghi tempi di attesa richiesti per rendere effettivamente disponibili i preparati commerciali. I ceppi che entreranno a far parte della composizione dei vaccini, distribuiti agli inizi della stagione, vengono deliberati da un’ apposita commissione dell’ OMS, sulla base dei dati di sorveglianza mondiale, nei mesi di febbraio  e settembre rispettivamente per l’ emisfero nord e sud, con largo anticipo rispetto all’ inizio effettivo della stagione. In questo lungo periodo il virus può subire dei drift che rendono meno efficace o talvolta vanificano la protezione nei confronti delle nuove varianti. E’ quanto sta succedendo nell’ ultima stagione, in cui in varie aree del mondo i virus in circolazione del sottotipo H3N2 non corrispondono a quelli presenti nel vaccino deciso per quest’ anno e una minore protezione e un maggior impatto in termini di morbilità e mortalità, soprattutto a carico della popolazione anziana, sono stati rilevati in Nord America, Europa e Asia.

I ceppi di tipo B sono stati a lungo considerati meno severi e meno soggetti a variazioni significative, ma in realtà i dati di sorveglianza hanno mostrato che non è così . Inoltre, se è vero che questo tipo di virus non è mai risultato essere all’ origine di eventi pandemici, in alcune stagioni sono risultati essere i virus prevalenti, come è avvenuto durante l’ inverno 2005-06 in Europa.

Durante gli ultimi 25 anni si sono affermate due distinte linee di influenza B. Nel 1987 ha fatto la sua comparsa il virus B/Victoria/2/87 che ha dominato fino al 1990, quando per la prima volta si è manifestato il virus B/Yamagata/16/88. Da allora si è verificata una sostanziale co-circolazione dei due virus, talvolta con una prevalenza dell’ uno rispetto all’ altro, talvolta con una simultanea circolazione, rendendo difficile e spesso errata la previsione del ceppo da inserire nel vaccino. Tra il 2000 e il 2007 sono stati riportati casi di mancata corrispondenza tra il ceppo vaccinale e quello circolante in diversi paesi, con una protezione solo parziale nei confronti del ceppo alternativo. Negli USA tra il 1999 e il 2010 c’è stata corrispondenza solo in 5 anni.

Questi antefatti costituiscono la premessa alla nascita  del vaccino quadrivalente, che è stato di recente approvato negli Stati Uniti e in Europa e che l’ OMS propone come scelta valida nelle sue raccomandazioni annuali fin dal 2013.


Un altro limite dei vaccini attuali, a differenza delle infezioni naturali,  è quello di essere scarsamente capaci dare una protezione adeguata nei confronti di ceppi dalle caratteristiche antigeniche diverse per mancanza della cosiddetta immunità eterosubtipica, che sembra essere mediata dai linfociti di tipo T.  

Un esempio è fornito da quanto successo durante l' inverno del 1957 nella città di Cleveland, quando è stata colpita dal virus pandemico H2N2, la cosiddetta asiatica. Dall' analisi degli archivi storici è risultato che solo il 5,5% degli adulti che si erano ammalati di influenza negli anni precedenti contraevano il nuovo virus, mentre nel caso dei bambini questo avveniva nel 55,2% dei casi.

Eppure il virus H2N2 era del tutto cambiato rispetto all' H1N1. Per spiegare questo fenomeno si è ipotizzato che nel corso degli anni e a seguito di ripetute infezioni, l' organismo sviluppi sistemi difensivi di tipo umorale e cellulare che proteggano nei confronti di ceppi emergenti.

Un fenomeno simile a quello del 1957 si è verificato con l' ultima pandemia, in cui si è constatato che non solo gli anziani si sono ammalati in misura estremamente bassa, questo grazie alla presenza di anticorpi legati al ricordo immunologico di periodi in cui circolava un virus antigenicamente simile ( il virus pandemico del 2009 presenta importanti analogie con il virus del 1918), ma anche molti adulti nati dopo gli anni 50 sono stati risparmiati. Anche per questi si è ipotizzata la presenza dell' immunità eterosubtipica, che è stata confermata anche in un brillante modello sperimentale: l' infezione dei maialini d' India con un ceppo di H1N1 stagionale ha conferito una protezione nei confronti di una successiva inoculazione del virus H1N1 pandemico. Gli animali avevano minore presenza di virus nel tratto respiratorio e tendevano a essere meno contagiosi nei confronti di altri animali. Un risultato simile si è ottenuto con una precedente infezione con il virus H3N2.

Questo tipo di immunità è diretta contro componenti del virione diversi dalle proteine di superficie HA e NA che sono molto variabili non solo tra diversi sottotipi, ma anche tra le stesse linee genetiche in tempi diversi. L' immunità eterosubtipica è rivolta invece verso componenti interne del virione, più stabili e comuni tra virus di diversa origine e permette di difenderci anche nei confronti di varianti di nuova emergenza. L' infezione naturale sembra in grado di dare questo tipo di protezione così come è probabilmente avvenuto con il virus pandemico H1N1-pdm09, a differenza dell' immunità indotta dai vaccini tradizional.

Durante la pandemia del 2009, la precedente vaccinazione con i virus stagionali non ha fornito nessuna protezione o, addirittura, è risultata controproducente ( solo uno studio ha mostrato un effetto protettivo).

Il vaccino basato su virus vivi somministrati con spay nasale (LAIV) avrebbe invece dimostrato di conferire protezione anche di tipo eterosubtipica, ma ha il limite di avere dimostrazioni di efficacia solo nella popolazione pediatrica.

 Il problema non è solo nei riguardi della comparsa periodica di nuovi ceppi driftati, ma anche di quelli con sostanziali mutazioni, frutto di un profondo riassortimento tra ceppi di origine umana, suina e aviaria che danno luogo alle emergenze pandemiche, che si manifestano ogni 10-40 anni.

Uno studio comparso su PLoS ONE  ha studiato quale potrebbe essere l' impatto della immunità naturale e di quella indotta dai vaccini nei confronti di un ceppo potenzialmente pandemico e la conclusione è che solo un vaccino di tipo universale sarebbe in grado di garantire una protezione adeguata in questa eventualità.

Un altra criticità emersa in questi ulti anni è la ridotta  e in qualche caso addirittura assente protezione nei soggetti che sono stati vaccinati negli anni precedenti, che hanno indotto alcuni commentatori a mettere in discussione i programmi di vaccinazione estesi all’ intera  popolazione, che sono stati adottati in paesi come gli Stati Uniti e il Canada. Sembra che i vecchi anticorpi delle persone precedentemente vaccinate neutralizzino i nuovi antigeni somministrati, impedendo loro di generare una risposta anticorpale adeguata.



Verso una vaccinazione universale


Tutti le problematicità esposte sopra sono alla base dell’ esigenza di superare i tradizionali metodi di produzione e di puntare verso nuove frontiere che permettano di creare un prodotto in grado di dare protezione prolungata nel tempo e che copra anche ceppi diversi, frutto di riarrangiamenti minori e maggiori, questi ultimi possibili cause di pandemia.

Sono diversi i filoni di ricerca ma il principale è quello che si riferisce all’ isolamento e alla generazione di anticorpi rivolti contro la parte più stabile dell’ emagglutinina.  L’ HA, insieme con  la neuraminidasi (NA), è il principale antigene di membrana del virus influenzale ed è costituito da tre catene intrecciate (trimero) che si proiettano dalla membrana cellulare con un aspetto simile ad un fungo. Ogni monomero di questo trimetro (HA0) è successivamente spaccato dalle proteasi in due unità HA1 e HA2. L’ unità HA1 è quella che  costituisce la testa del fungo e contiene i siti che si legano ai recettori delle cellule ospiti. HA2 invece forma il fusto che tiene ancorata la proteina alla membrana del virus. La prima è caratterizzata da una grande variabilità, in quanto gli anticorpi prodotti dal nostro sistema immunitario sono indirizzati principalmente contro questa componente, per cui subisce continue variazioni per eludere le nostre difese. La seconda è invece meno esposta e più stabile nel tempo e da vari gruppi di ricerca sono stati isolati anticorpi che sono in grado di conferire una protezione a più ampio spettro, proprio usando come bersaglio questa parte della proteina di superficie. Le metodiche di isolamento sono complesse e  consistono nell’ utilizzo delle librerie anticorpali espresse su fagi, anticorpi monoclonali ricavati da plasmablasti o plasmacellule  o ibridomi di cellule di memoria di tipo B. Molti studi hanno messo in luce che tali anticorpi sono indotti nell’ animale e nell’ uomo sia dall’ infezione naturale che dalla vaccinazione.  Sono stati scoperti anticorpi in grado di riconoscere parti comuni a uno o all’ altro dei due principali gruppi di virus di tipo A, a entrambi i gruppi e taluni rivolti anche verso virus di tipo B. Altri anticorpi con funzione di ampia copertura sono rivolti verso parti della testa dell’ HA che non sono sito di legame recettoriale. Questi studi hanno dimostrato che anticorpi rivolti contro parti non variabili del fusto e della testa dell’ HA possono essere indotti dalla vaccinazione stagionale o dall’ infezione sia con virus H5N1 sia H1N1 pandemico.

Altre strategie che sono oggetto di studio e che possono essere promettenti per lo sviluppo di un vaccino universale sono la stimolazione di anticorpi contro altri componenti del virus, come le proteine NA di superficie e M2 di membrana o l’ utilizzo di altre metodiche che fanno ricorso ai ricombinanti veicolati da vettore, ai vaccini a DNA,  ai Virus Like Particle (VLP), ai vaccini monovalenti a bassa replicazione basati su delNS1-H1N1, ai vaccini a peptici sintetici, allo sviluppo di adiuvanti maggiormente efficaci.

Tutte queste tecnologie, benché promettenti, richiederanno ancora lunghi studi di tipo preclinico e clinico per chiarire i meccanismi molecolari coinvolti e per dissipare timori di possibili effetti avversi legati al loro uso.



Nel frattempo gli attuali vaccini influenzali mantengono un buon profilo di efficacia e di sicurezza ed è bene che il loro utilizzo continui ad essere incoraggiato quale migliore arma disponibile per contrastare la minaccia rappresentata dal virus influenzale. Ma è giusto anche considerare che è passato quasi un secolo dalla nascita dei primi vaccini e le tecniche di produzione legate ai sistemi tradizionali di coltura non si sono sufficientemente evolute e non hanno tratto profitto dalle nuove frontiere della biotecnologia. Vanno accolti favorevolmente  i nuovi vaccini cresciuti su cellule animali, quelli basati su virus vivi da somministrare per via nasale e i vaccini quadrivalenti ma è ora che si apra una nuova era che ci permetta di far fronte con maggiore forza  alle sempre nuove sfide che l’ influenza pone per l’ umanità. 














domenica 8 marzo 2015

Influenza H7N9 in Cina: il ruolo determinante dei mercati di pollame vivo




Il 26 Gennaio scorso ha suscitato un certo clamore il caso riportato dai media internazionali di una donna canadese  risultata infetta con il virus H7N9, contratto dopo un viaggio in Cina. Subito dopo è stata confermato il contagio anche del suo compagno

Questo evento ha riacceso per breve tempo i riflettori su un’ epidemia che è arrivata alla sua terza stagione e non dà ancora segnali di attenuazione. Il fatto è che l’attenzione su questi avvenimenti, come con altre epidemie ugualmente minacciose in varie parti del mondo ( vedi ebola, mers-coronavirus, H5N1) risulta elevata in  misura proporzionale alla loro novità, con  paure che spesso travalicano quelli che sono i reali pericoli ma, appena ci si rende conto che non ci sono minacce di estensione al di fuori dei territori di origine, si tende a cancellarli dal proprio orizzonte visivo. In realtà è bene stare sempre con gli occhi bene aperti perché gli sviluppi  possono essere imprevedibili  e per non far mancare una costante pressione dell’ opinione pubblica internazionale sui paesi coinvolti, così da spingerli a non allentare le misure di controllo e di contenimento.



I primi rapporti che riferiscono del rilevamento di un nuovo ceppo influenzale risalgono a marzo del 2013. In precedenza il virus H7N9 era stato isolato nei polli negli USA e nelle anatre in Corea del Sud. Il 31 Marzo viene comunicato il primo caso di infezione umana legata al nuovo virus in un residente a Shanghai.  I primi tre casi umani coinvolgono la provincia di Anhui e Shanghai.

Shanghai è stata una delle zone più colpite in quanto ubicata lungo le rotte migratorie degli uccelli selvatici tra l’ Australia e l’ Asia. Successivi casi si sono manifestati nella città vicine delle province del Jiangsu, Zhejiang e Anhui, lungo il delta del fiume Yangtze,  nella parte orientale della Cina. La prima ondata durerà fino a Maggio del 2013 e farà registrare 133 casi e 45 morti. I tipici sintomi di esordio  sono febbre e tosse che tendono a progredire in polmonite e, in diversi casi, in quadri refrattari di ARDS con grave ipossiemia e spesso esito fatale. Molti soggetti hanno precedenti patologie, ma il 27% degli affetti è  sano. Attraverso indagini estese di pazienti con sintomi simil-influenzali che non ricorrevano alle cure ospedaliere sono stati individuati anche casi lievi. In particolare i bambini sembrano accusare una malattia più leggera, forse per una minore esposizione alle fonti animali.



 Quello che infatti è apparso subito evidente è stata la frequente associazione della malattia con un precedente contatto con animali di allevamento. 2/3 dei pazienti aveva una storia di esposizione ad animali, soprattutto pollame, sia per attività di tipo lavorativo sia per aver frequentato mercati avicoli nei 7 giorni precedenti l’ inizio dei sintomi. Indagini epidemiologiche hanno riscontrato virus molto simili nelle oche, polli, piccioni e negli ambienti circostanti i mercati di uccelli vivi.

 La Cina ha avuto uno sviluppo considerevole  in questi ultimi 25 anni sia dal punto di vista demografico sia della crescita economica, con un aumento del reddito e del benessere  delle famiglie. All’ aumentata industrializzazione del paese si è associata un aumento dell’ urbanizzazione. Ma a questi elementi, tipici di una società che sta subendo un’ evoluzione da un economia tipicamente rurale ad una più moderna di stampo occidentale, non si è associato un cambiamento delle abitudini della popolazione rispetto alle sue tradizioni millenarie. Lo dimostra il ruolo ancora importante che è svolto dai mercati di pollame vivo, che rappresentano  il sistema di vendita e scambio più diffuso e che con i cambiamenti in atto hanno semmai acquisito dimensioni ancora più ampie, dovendo soddisfare le necessità di città sempre più popolose invece che di piccole realtà rurali.

L’ allevamento e la commercializzazione dei volatili di allevamento, in particolare polli, anatre e piccioni, rappresenta uno dei settori di punta dell’ economia cinese ( come avviene anche in altri paesi dell' area, vedi Thailandia, Laos, Singapore).  L’ industria del pollame è seconda solo a quella dei suini nel sostenere i fabbisogni di carne di una popolazione che cresce sempre più. Nel 2011 la produzione di carne suina è stata pari a 50,5 milioni di tonnellate, quella avicola di 17,1 milioni e di manzo 6,5 milioni. L’ industria e il consumo del pollame hanno avuto un' impennata negli ultimi 20 anni:









Un’ indagine compiuta nel 2006 a Guangzhou, capitale del Guangdong, ha dimostrato che l’ 80% dei residenti aveva acquistato del pollame almeno una volta nell’ ultimo anno e frequenti erano gli acquisti ripetuti. Questi mercati rappresentano un rischio sia per la trasmissione di virus influenzali emergenti nell’ ambito delle diverse popolazioni di uccelli domestici sia, come si è visto con l’ epidemia del virus H7N9,  per il possibile contagio dell’ uomo. La dimostrazione è che la chiusura di questi mercati è stata la  misura più efficace nel contenere la diffusione dell’ epidemia nel corso della prima ondata e delle successive.



Ma se i mercati hanno un importante ruolo nella diffusione del nuovo virus, le sue origini vanno fatte risalire alI' incrocio di virus di specie selvatiche e domestiche. I grandi  allevamenti di volatili, in particolare se non vengono adottate stringenti misure di controllo veterinario, comportano un rischio importante di dare origine a nuovi ceppi virali, in virtù della possibile combinazione con virus veicolati dagli uccelli migratori che attraversano la Cina nelle loro rotte dalla Australia all’ Asia e all’ Europa orientale.  Le prime indagini filogenetiche hanno indicato che virus del tipo H7 di origini eurasiatica erano passati dalle oche domestiche ai polli e avevano fornito la componente HA mentre la NA sembra sia derivata da virus del tipo H11N9 e H2N9 trovati in uccelli migratori della zona di Hong-Kong. Inoltre  6 degli 8 segmenti del suo RNA provengono da virus del tipo H9N2, ampiamente diffusi negli allevamenti di pollame domestico. Questo processo di acquisizione è probabilmente avvenuto in varie tappe, l’ ultima delle quali sembra essersi realizzata nel delta del fiume Yangtze, nella Cina orientale. Il nuovo ceppo si è poi diffuso negli allevamenti di polli dove causa, a differenza di altri ceppi pericolosi per l’ uomo come l’ H5N1, malattie di lieve entità, rendendolo così meno riconoscibile e quindi particolarmente insidioso per l’ uomo

Ma quello che preoccupa è che successive analisi hanno mostrato che nuovi  scambi di materiale con ceppi del tipo H9N2 sono avvenuti nel corso della seconda ondata, ad indicare un continuo rimodellamento del virus, che potrebbe portare alla nascita di varianti più pericolose per l’ uomo.



I virus del tipo H9N2, da cui il virus H7N9 ha ricavato molte delle sue componenti, sono endemici nelle popolazioni dei polli presenti in Cina  già da 10 anni,  anche a motivo delle campagne di vaccinazione  che hanno permesso di  selezionare ceppi con caratteristiche antigeniche diverse e che si sono maggiormente adattate al pollame.

In Cina viene  utilizzato il 90% dei vaccini mondiali per contrastare la diffusione dell’ influenza aviaria, in particolare la sua variante considerata più pericolosa, l’ H5N1. Se queste estese campagne di vaccinazione hanno limitato fortemente la circolazione del virus H5N1, non sono state in grado di impedire l’emergenza di ceppi antigenicamente modificati del tipo H5 e non H5. L’ OIE ( organizzazione per la salute animale) ha da tempo messo in guardia contro un uso indiscriminato di vaccini, specie se utilizzati in modo inappropriato e non aggiornati, in quanto possono mascherare e addirittura favorire l’ emergere di nuovi ceppi.

La vaccinazione non deve essere l’ unico sistema di controllo della malattie potenzialmente pericolose e non deve essere utilizzata per tempi prolungati,  ma deve prevedere delle “exit strategy” oltre ad essere affiancata  da altre  misure di biosicurezza nella fattorie e nei mercati, per evitare la facile intrusione e il rafforzamento di ceppi modificati.





 Per poter risultare pericolosi per l’ uomo i virus aviari devono sviluppare delle caratteristiche che li rendano capaci di adattarsi ai mammiferi. I geni interni che codificano per le proteine PB2 e NP sono stati identificati come importanti determinanti di patogenicità e adattamento agli ospiti mammiferi. Nei casi umani di malattia da virus H7N9 è stato individuato la presenza nella proteina polimerasi basica di tipo 2 (PB2) della variante E627K ( che sta ad indicare una sostituzione aminoacidica - lisina al posto dell’ acido glutammico - nella posizione 627) che si è dimostrata conferire una maggiore patogenicità e capacità di adattamento ai mammiferi.



Ma l’ acquisizione di queste proprietà non si è tradotta fortunatamente, almeno fino ad oggi, nella capacità di trasmettersi in maniera sostenuta da uomo a uomo.

Nel corso della prima ondata si sono verificati alcuni casi che si presentavano in collegamento tra loro (cluster) in quanto coinvolgevano membri della stessa famiglia, ma vi erano stati contatti molto stretti tra loro sia nella fase di incubazione sia dopo che il caso indice aveva manifestato i primi sintomi. 

Altri clusters si sono verificati nel corso della seconda ondata.
Questa è iniziata nell’autunno del 2013 e si è esaurita nella primavera del 2014, provocando 313 casi e 114 decessi . Le due province maggiormente colpite sono state lo Zhejiang nella Cina orientale e il Guangdong nella Cina meridionale ( in stretta  contiguità con Hong-Kong ). In quest’ ultima zona si sono verificati 3 clusters famigliari, che hanno coinvolto in forma lieve anche dei bambini. In tutti  vi era una storia di esposizione ad animali di allevamento. Questo è un dato  importante, in quanto sembra escludere per il momento una trasmissione diretta da uomo a uomo.


Finora i clusters segnalati hanno quasi sempre un soggetto iniziale (indice) che ha contatto con animali infetti e i famigliari vengono contagiati da contatti stretti con il caso indice.
Nell’ ultima ondata epidemica, che è iniziata in maniera piuttosto timida lo scorso autunno, ma che ha avuto un crescendo importante nelle ultime settimane, con numerosi casi riportati nelle province del Guangdong e Anhui,  si è verificato un cluster che dimostra che ci possono essere rischi anche per gli operatori sanitari in un ambiente ospedaliero. Due medici hanno sviluppato contemporaneamente sintomi polmonari dopo aver prestato assistenza in un reparto di malattie respiratorie. Uno è stato confermato affetto da H7N9 e ha sviluppato l' ARDS, il secondo ha avuto un quadro più blando e i risultati dei test non danno un’ attribuzione certa, ma si è in attesa degli esami sierologici. Nessuno dei due aveva avuto contatti con pollame. Un paziente che era ricoverato nella stessa unità e non aveva precedenti contatti con animali vivi è risultato positivo al virus. Non è stato possibile identificare un caso indice e sono in corso indagini per stabilire la relazione tra i tre casi. 



Al momento non sembrano esserci rischi di un escalation importante dell’ epidemia, che potrebbe determinarsi solo con cambiamenti sostanziali del virus, che al momento non sembrano essere dietro l' angolo. Ma i numeri dell’ attuale epidemia, che hanno praticamente pareggiato nel giro di appena 2 anni quelli relativi all’ altra minaccia storica, quella rappresentata dal virus H5N1 - che per altro continua a creare problemi in varie parti del pianeta - e  la dimostrazione di nuovi acquisizioni e scambi con i virus aviari circolanti che si sono manifestati tra un’ ondata e l’ altra, devono invitare a prestare la massima attenzione su quelle che saranno le evoluzioni future del virus.

Continui riassortimenti nell’ ambito delle specie animali che fanno da riserva naturale del virus possono dar vita a nuove varianti con maggiore patogenicità e rischio di trasmissione interumana, per cui è importante un’ analisi rapida dei dati epidemiologici e delle sequenze delle nuove varianti.





Ma ritengo altrettanto importante che la Cina, che è una delle maggiori potenze economiche nel mondo, attui una transizione da metodi di produzione e distribuzione delle carni di origine avicola obsoleti e legati alla tradizione a sistemi più moderni basati sulla macellazione in sedi centrali e sulla distribuzione controllata dalle ditte alle tavole dei consumatori, con minori rischi di trasmissione di virus emergenti tra animali di diversa provenienza e, soprattutto, minori rischi per la popolazione cinese e mondiale.

P.S. un articolo pubblicato l' 11-03 sulla rivista Nature ha messo in evidenza la rapidità dell' espansione sia geografica che genetica del virus nel corso della seconda ondata e le sue potenzialità di diventare il candidato principale di una prossima pandemia. Viene sottolineata l' importanza della chiusura permanente dei mercati di pollame vivo e del blocco del trasporto del pollame come misure per il controllo dell' epidemia.








domenica 1 marzo 2015

Stagione 2014-2015: la fiaba dell' influenza in Italia








Marzo, è tempo di primi bilanci sulla stagione 2014-15. Le previsioni dello scorso autunno erano in prevalenza di una stagione non dissimile e semmai più blanda dalle precedenti, ma con l’ influenza l’ unica cosa certa è la sua imprevedibilità. E, di fatto, l’ epidemia che ha appena compiuto il suo giro di boa e ha intrapreso il suo percorso di ripiegamento, è risultata una delle più severe degli ultimi anni. All’ inizio, segnali di possibili guai all’ orizzonte sono giunti  dagli Stati Uniti, dove  il ceppo maggiormente isolato non era quello inserito nella composizione del vaccino, bensì una nuova variante, denominata  A/Switzerland/9715293/2013, che sarà presente invece nel vaccino del prossimo anno, sperando che il pronostico non venga nuovamente disatteso.  Il problema ormai annoso sono i lunghi tempi per la commercializzazione che  lasciano esposti al rischio di cambi repentini di un virus che fa della instabilità un suo punto di forza. Le notizie giunte dall’ altro versante dell’ atlantico hanno innescato da una parte  timori e dall’ altra polemiche sull’ inefficacia delle vaccinazioni. A fine Novembre è scoppiato lo scandalo Fluad con un notevole contraccolpo di immagine sui vaccini, causato da un falso allarme  lanciato dall’ ente italiano preposto alla sorveglianza, i cui effetti avrebbero potuto essere ben più importanti se non fosse avvenuto in un periodo in cui la campagna di vaccinazione volgeva verso il termine. Ma le ricadute di questo evento sono state fatte apparire più rilevanti di quello che erano per  mascherare il significato reale degli avvenimenti. Perché gli italiani sono un popolo di bambini a cui non si può dire tutta la verità.



Intanto negli Stati Uniti e in Canada la variante modificata del virus  H3N2 ha preso nettamente il sopravvento e  ha in gran parte compromesso l’ efficacia della vaccinazione. Le conseguenze si sono viste con il rapido impennarsi dei vari indicatori che descrivono l’ andamento dell’epidemia e che hanno messo subito in evidenza un  impatto notevole sulla popolazione anziana. L’ anno precedente il prezzo più alto era stato pagato dai giovani adulti, in quanto il virus maggiormente circolante era stato l’ H1N1 pandemico, che fa di questa fascia della popolazione il suo bersaglio principale. A differenza di quello che avviene da noi, negli USA esistono strumenti molto sofisticati che non si limitano al conteggio delle sindromi simil influenzali (ILI) e dei tamponi positivi, ma che forniscono indicazioni precise sull’ andamento dell’ epidemia e sul suo impatto in termini di mortalità sia generale sia divisa per scaglioni di età, di mortalità pediatrica ( che è stato introdotto da non molti anni perché si è capito che i bambini pagano purtroppo un prezzo elevato) e di numero di ospedalizzazioni correlate all’ influenza. Proprio quest’ ultimo indice ha visto un’  ascesa fino ad arrivare ad un tasso 51,7/100000, con gli anziani che hanno raggiunto il livello record di 258. E' il livello più alto mai registrato dal 2005, da quando è iniziata la sorveglianza di questo indice. Il precedente valore più alto è stato 183,2 nel 2012-13.


In Europa la stagione ha avuto un inizio più tardivo rispetto al Nord America, ma anche qui si è manifestata in maniera preponderante la nuova variante a cui il vaccino fornisce una scarsa protezione. Le prime nazioni ad essere colpite sono state Olanda Svezia, Inghilterra. Fin da subito si è verificata un importante pressione sui sistemi sanitari, superiore a quella registrata nelle stesse settimane dell’ anno precedente e un impatto significativo sulla mortalità è stato registrato in Francia, Svizzera, Portogallo, Germania, in particolare a carico degli anziani. Sono stati questi a determinare una forte ascesa della curva di mortalità, già a partire dalla 50° settimana, in Inghilterra, dove sono stati registrati 893 ammissioni in terapia intensiva e 89 decessi. 
 In maniera simile a quanto avviene negli Stati Uniti, l’ Inghilterra ed altri 18 nazioni o regioni nazionali fanno parte del circuito EuroMOMO,  che raccoglie i dati in tempo reale sulla mortalità permettendo di avere un indicatore forte dell’ andamento reale della stagione. Stando all’ ultimo bollettino,  in 10 su 16 paesi che hanno inviato dati si è riscontrato un eccesso di mortalità per tutte le cause nei soggetti 65+, un dato che  dà la misura della severità della stagione influenzale negli stessi paesi  L’ Italia non fa parte di questo circuito, in quanto non dispone di  questo strumento fondamentale, privandoci di conseguenza della possibilità di conoscere quello che è il reale impatto dell' influenza in un dato anno. Siamo come una navicella che si muove nello spazio senza un radar che segnali ostacoli importanti nel suo cammino.



In Asia sono pochi i paesi che hanno un sistema di monitoraggio e di notifica delle forme influenzali di standard elevato. Un’ eccezione è  Hong-Kong che è una realtà che vanta un sistema sanitario di primo ordine  e che è attrezzata con  un sistema di sorveglianza evoluto. Il Center for Health Protection pubblica quasi quotidianamente bollettini sui focolai epidemici, sui casi gravi pediatrici e sull’ impatto complessivo della stagione. Quest’ ultima ha fatto  finora registrare 415 ammissioni in terapia intensiva e 306 decessi, che sono numeri che non si vedevano da parecchi anni e che stanno mettendo alle corde i presidi ospedalieri della metropoli asiatica. Anche qui le ricadute più pesanti si sono avute nei confronti della popolazione anziana e dipendono in larga misura  dalla circolazione del ceppo mutato del virus H3N2. Anche se non a livelli così elevati, una significativa circolazione del virus H3N2 si è registrata anche in Cina, Giappone, Mongolia e Corea del Sud.

Uno scenario del tutto diverso  è invece presente in India, dove viene riportata una netta predominanza del virus H1N1, che già nel 2009 e nel 2010 aveva provocato un gran numero di vittime, ma che negli ultimi 2 anni sembrava aver allentato la sua morsa. Quest’ anno si è invece verificata un considerevole numero di casi, in particolare nelle province del Rajastahn, Madhya Pradesh, Gujarat. Si contano numerosi ospedalizzati e le vittime sono prossime al migliaio.  Particolarmente colpiti risultano essere i soggetti giovani, molti casi fatali si verificano in soggetti di età compresa tra 20 e 50 anni.



America, Hong-Kong ed Europa da una parte  e India dall' altra mostrano chiaramente  come sia diversa la ricaduta dei due principali virus in circolazione, con la versione mutata dell’ H3N2 che provoca un numero elevato di vittime nell’ ambito della popolazione anziana più fragile, mentre il virus pandemico non sembra aver perduto lo smalto della prima sua apparizione e, se risparmia fortunatamente gli anziani di oggi ( ma non sarà così con quelli di domani!) in virtù della loro memoria immunologica, colpisce in maniera severa le persone della fascia più forte della popolazione, grazie alla maggiore aggressività che sa esprimere. Un virus che si è voluto dare per “esaurito” nell’ estate del 2010 e che ha continuato imperterrito a lasciare la sua scia di morti laddove si è manifestato.

In Italia la sorpresa è stata un ritorno tambureggiante del virus pandemico che nelle fasi iniziali ha dominato la stagione per poi cedere progressivamente il passo al virus H3N2, che negli ultimi rilevamenti ha raggiunto e superato come numero di isolamenti il primo. Il virus H1N1 ha colpito maggiormente alcune regioni (Veneto, Puglia, Emilia, Toscana) rispetto ad altre ed il bilancio di casi severi e di decessi è risultato essere piuttosto elevato.  In base all’ ultimo bollettino di Flunews, i casi gravi sono stati finora 517 e i morti accertati 100. Il confronto con la stagione precedente dà la misura della particolare severità dell’ attuale stagione. Nella medesimo periodo del 2014 i casi gravi erano stati 43 con appena 4 decessi.   Numeri di questo tipo non si registravano dai tempi delle prime due stagioni pandemiche, in particolare dalla seconda, di cui però non sono stati resi pubblici i dati ufficiali, a testimonianza del fatto che il virus H1N1 continua ad avere le sue peculiarità che lo contraddistinguono nettamente dai cugini stagionali e che lo hanno reso protagonista di stagioni severe in varie parti del mondo. Lo scorso anno sono stati colpiti duramente diversi paesi dell’ America sia del sud che del nord e in Europa la Spagna ha pagato un dazio abbastanza pesante, ma questo non è sembrato un motivo sufficiente per sensibilizzare anche l’ opinione pubblica italiana sui rischi di un suo ritorno. Da noi si preferisce raccontare la  favola dell’ epidemia “in linea” con quanto successo nelle  precedenti stagioni e  se proprio si è costretti ad ammettere che sì, in fondo in fondo, abbiamo assistito ad un anno un po’ burrascoso, questo è da ricondurre solo all’ impressionante calo delle vaccinazioni che c’ è stato dopo il caso Fluad, ai giornali che hanno amplificato la vicenda e ai tanti ingenui che si sono fatti vincere dall paura. Purtroppo su questi temi l’ opinione pubblica, i giornali, gran parte della classe medica sembrano essere ancora  anestetizzati dalla marea di notizie distorte che ha inondato il nostro paese ai tempi della pandemia. Chissà quanti anni ci vorranno ancora perché si possa aprire gli occhi su quanto è successo e sulle sofferenze patite da tanti nostri connazionali per quello che viene considerato un banale virus stagionale.



Esiste un altro risvolto della stagione in corso su cui nessuno riflette.  Come è stato documentato dagli ultimi bollettini, anche  in Italia stanno circolando delle varianti "cattive" del ceppo H3N2. Partite un po’ sottotono rispetto al virus H1N1, hanno pian piano guadagnato terreno tanto da superare nelle ultime settimane il virus H1N1. Nel conteggio complessivo dall’ inizio della stagione rappresentano 1/3 dei virus isolati, la metà rispetto ai virus del tipo H1N1. Se però andiamo a guardare l' insieme dei casi gravi e dei decessi riportati, rappresentano una percentuale di appena il 10%. Come abbiamo visto all’ inizio di questo articolo, nei diversi paesi dell’ America, dell’ Europa e dell’ Asia in cui c’ è stata una prevalente circolazione di questo ceppo o di altri affini, c’ è stata una sostanziale ricaduta in termini di ospedalizzazioni, ricoveri in terapia intensiva, decessi. Come si spiega che una situazione analoga, seppure in proporzioni minori data la prevalenza da noi del ceppo pandemico, non si sia verificata?



La verità è che  il virus H3N2 ha probabilmente un impatto significativo anche da noi, ma non ce ne rendiamo conto.

Il virus H3N2, lo si è visto negli esempi riportati in questo articolo, ha una virulenza e soprattutto un target diverso rispetto al virus H1N1. Se quest’ ultimo colpisce in prevalenza persone giovani e con quadri di importante insufficienza respiratoria e multiorgano,  talmente evidenti che non possono sfuggire neppure ad una sorveglianza disattenta come la nostra, l’ H3N2 attacca altrettanto severamente persone con fragilità importanti legate all’ età avanzata e alle patologie che spesso l’ accompagnano o con quadri  severi ma mascherati da altri, come sovrainfezioni batteriche o  scompensi cardiocircolatori che non riconducono alla causa sottostante. In tutte queste situazioni  il virus viene raramente ricercato e la morte spesso attribuita ad altre cause. Nei paesi che ho citato come Stati Uniti, Inghilterra o Hong-Kong esistono sia una maggiore consapevolezza del fenomeno sia sistemi di sorveglianza più accurati, per cui questi quadri vengono molto più frequentemente riconosciuti  e trattati in quanto tali o indirettamente  vengono dedotti  dalla sorveglianza in tempo reale della mortalità generale e per scaglioni di età, che permette un tempestivo riscontro di quelle che sono le ricadute reali del virus o dei virus che stanno circolando. Da noi l’ unico modo per risalire a quello che sta accadendo è leggere nei giornali del gran numero di accessi al pronto soccorso e di  ospedalizzazioni, delle lunghe ore di attesa, della mancanza di posti letto e di personale sufficiente, con tutte le  polemiche che inevitabilmente seguono a proposito  dell’  inadeguatezza dei nostri servizi territoriali di sanità. Fateci caso, le cronache delle scorse settimane hanno riferito che a saturare i nostri servizi erano soprattutto gli anziani, quelli che sono il bersaglio del virus H3N2, non dell’ H1N1.


C’ è stato un altro periodo in cui, similmente a quest’ ultimo, le pagine dei giornali italiani erano piene di notizie di questo genere e in cui le pagine degli annunci funebri erano particolarmente traboccanti di notizie relative a decessi di persone anziane. Mi riferisco alla stagione 2011-12 che, in base alla sorveglianza virologica dell' epoca, sappiamo essere stata  dominata dal virus H3N2, con marginali presenze dell’ H1N1 e del B.


Quella stagione è passata già da tempo senza che nessuno sia consapevole di quello che è realmente successo, ma una traccia si trova nei numeri che giacciono ignorati in una pagina dell’ ISTAT e che si riferiscono ai decessi registrati mensilmente, che mi sono preso la briga di analizzare. Ne ho ricavato un grafico che vi propongo:

 


Le colonne rappresentano le varie stagioni che si sono susseguite dal 2003 al 2014, i segmenti colorati corrispondono ai mesi che vanno da novembre a marzo, nell’ asse delle y è riportata la somma dei decessi registrati. C’ è una colonna che sopravanza nettamente tutte le altre ed è quella che corrisponde alla stagione 20011-2012, proprio quella di cui stiamo trattando. In quella stagione il numero dei decessi ha superato di ca 17000 unità la stagione  che si avvicina di più come gravità, che è stata quella successiva. Calcolando solo i decessi avvenuti tra gennaio e marzo 2012 e confrontandoli con lo stesso periodo del 2010, in cui non c’ è stata praticamente nessuna  circolazione del virus influenzale ( era l' anno della pandemia che ha avuto il suo picco in autunno), la differenza è di 25000 morti. I morti che mediamente vengono attribuiti all’ influenza sono 7-8000 ( ma sono dati che si riferiscono agli anni dal 1969 al 2000). Il mio è un calcolo grossolano che richiederà analisi più accurate di tipo statistico ( se mai verranno fatte!) per poter essere correttamente interpretato, ma nella stagione 2011-12 si è verificato  un eccesso di letalità  di ben tre volte superiore alla media delle altre stagioni. Unica  spiegazione plausibile ( anche se va considerato anche un periodo di freddo superiore alle medie stagionali nelle prime 2 settimane di febbraio) il ritorno del virus H3N2 dopo 2 anni di assenza. 2 anni in cui gli anziani sono stati risparmiati poiché poco “interessanti” per il virus H1N1.
 Nei paesi europei in cui esiste una sorveglianza epidemiologica seria,  un eccesso significativo della mortalità è  stato documentato, come in Belgio, Olanda, Svizzera e Portogallo 



Il grafico qui accanto si riferisce alla stagione 2011-12 in Portogallo, in cui si vede come in quell’ anno la mortalità ha raggiunto punte molto elevate. Da notare che non stiamo parlando di  un  paese europeo più avanzato e progredito del nostro, eppure dispone già da tempo di sistemi di sorveglianza della mortalità in tempo reale ( fa parte del circuito euroMOMO) e sui dati ricavati è in grado di produrre studi  che da noi sono una pura e semplice chimera.



In Italia le stagioni di influenza risultano essere sempre in linea con le precedenti e non sono mai motivo di particolari preoccupazioni, ma da noi la storia dell’ influenza non è una scienza, ma una fiaba che va  raccontata a bambini troppo piccoli per comprendere la vera realtà delle cose.