domenica 25 gennaio 2015

La recrudescente ondata dell' influenza H1N1: non diamo la colpa alla vicenda Fluad








A marzo del 2010, a margine di un convegno che aveva l’ ambizioso programma di fare un bilancio della prima stagione pandemica in Italia, ho interpellato la dottoressa Stefania Salmaso, esponente di primo piano del nostro Istituto Superiore di Sanità, sulla possibilità che si potessero ripetere anche nelle successive stagioni situazioni critiche legate al virus H1N1, così come era avvenuto nel 1969-70. La sua risposta è stata che la stagione pandemica era da considerare conclusa e che non si sarebbero verificati altri momenti problematici. Ho lasciato la sede di quel convegno con diverse perplessità nell’ animo. 
Il virus H1N1, emerso improvvisamente nel 2009 grazie ad un incrocio di  ceppi suini, eredi diretti del virus del 1918, con virus aviari e umani, avrebbe dato seri grattacapi anche negli anni successivi, lo vedremo più avanti.   
L’ annuncio della prima pandemia del ventesimo secolo ha scatenato inizialmente paure e allarmi per gli scenari drammatici legati al ricordo della pandemie del secolo precedente e per l’ attesa febbrile da parte delle autorità mondiali di un evento di grande portata, i cui segnali premonitori erano visti nella insidia crescente  dei virus aviari, H5N1 in testa. Quando ci si è resi conto che il bilancio era molto al di sotto delle aspettative, c’ è stata una reazione dell’ opinione pubblica, condizionata da pensatori illuminati e da politici che si sono rivestiti dei panni di esperti di sanità pubblica, che ha portato al rigetto delle misure straordinarie messe in campo per fronteggiare l’ emergenza e alla messa sotto accusa della massima autorità sanitaria mondiale, rea di aver creato un allarme ingiustificato. Viene messo in dubbio da più parti che si sia trattata di vera pandemia e il bilancio di 18000 morti è sembrato la pietra tombale di tutta la vicenda. Questo clima si riflette  nel comunicato dell’ agosto del 2010 da parte dell’ OMS, in cui traspare evidente il desiderio di chiudere in fretta un capitolo che ha gettato diverse ombre sull' operato dell' istituzione, alcune delle quali anche giustificate. L’ OMS considera terminata la pandemia e dichiara che il virus avrebbe continuato a circolare nella “semi-anonimità degli altri virus circolanti” anche se poteva ancora determinare “epidemie localizzate di diversa importanza”. Si volti quindi pagina e si lasci agli storici il compito di dare una valutazione di quegli avvenimenti.

In Italia la stagione 2010-11 viene annunciata come quella che avrebbe dovuto segnare il “ritorno alla normalità”, come a voler farsi perdonare per gli “eccessi” della stagione precedente, dimenticando che un numero non marginale di persone aveva sofferto di quadri severissimi  e diversi erano morti, ma la propaganda ufficiale era stata talmente convincente nello sminuire il significato di queste “spiacevoli ma inevitabili ricadute” da spingere alla fuga di massa dalle sedi vaccinali e alla rottamazione dei vaccini e della credibilità delle nostre istituzioni.

Non si è voluto capire che il virus H1N1 appartiene di diritto al novero dei virus pandemici, anche se meno pericoloso rispetto ad altri virus della stesso lignaggio, come i precedenti del 1918 e del 1957. Nella storia si sono verificati eventi pandemici di portata paragonabile o addirittura inferiore all' ultima pandemia. Ad esempio la pandemia del 1968 ha avuto un andamento ugualmente “mite”, ma non per questo viene messa in dubbio la sua natura. 

Quello che caratterizza i virus pandemici sono 3 elementi:

- la novità legata ad una sostanziale cambiamento delle caratteristiche genetiche
- il fatto di colpire soggetti di età diversa rispetto ai classici virus stagionali
- il manifestarsi in ondate successive. 

Badate bene che non si parla di impatto in termini di vite umane, perchè questo può essere molto variabile.  In ogni caso le ultime stime degli esperti valutano in  200000-400000 il numero di morti nel primo anno, con un contributo importante (80%) delle classi di età più giovani.

Il virus H1N1 possiede tutti e tre i requisiti. Un aspetto importante dei virus pandemici è quello di manifestarsi in ondate successive, che possono essere ravvicinate ( 3 nel primo anno del virus del 1918), distanziate di un anno, come nel 1889 e nel 1968, o addirittura distanziate di 5 anni, come è successo negli USA nel 1957. Su quali basi si poteva quindi considerare conclusa la pandemia? Del resto non era pensabile che il virus cambiasse da un anno all’ altro, gli stessi virus stagionali mantengono per 2-3 anni le loro caratteristiche prima di subire cambiamenti significativi, pur dovendo fronteggiare un’ elevata immunità nei loro confronti. Il virus pandemico è un virus del tutto nuovo per il sistema immunitario delle persone che non lo hanno mai incontrato, vale a dire tutti quelli che sono nati in epoche successive ai tempi in cui circolava un virus simile e per di più, per un fenomeno che è chiamato “peccato originale antigenico” non evoca risposte sostenute in coloro che nella propria infanzia hanno incontrato un virus diverso, creando sempre nuove coorti di suscettibili che possono contagiare soggetti a rischio di infezioni potenzialmente pericolose.



Ma vediamo che cosa è successo negli anni successivi ad opera di un virus “semianonimo” in grado di dare solo sporadiche epidemie “localizzate”. Va precisato che i bilanci ufficiali rappresentano solo una parte più o meno consistente del bilancio vero e sottostimano ampiamente quello che è l’ impatto del virus. Ad esempio negli USA si è stimato un numero di decessi reali almeno 6-7 volte superiori rispetto ai bilanci ufficiali. Va inoltre tenuto presente che gran parte delle vittime sono persone giovani, in prevalenza affette da precedenti patologie ma spesso anche sane.

Ondate successive del virus H1N1

2010-2011


La prima nazione a sperimentare una stagione che non possiamo definire normale è stata la NuovaZelanda nell’ estate del 2010, in cui il rientrante H1N1 ha determinato 15 morti e 700 ospedalizzazioni. 
Ma arriva l’ inverno anche da noi e l’ Inghilterra, la patria di quel Paul Flynn che era stato, tra i politici del Consiglio d’Europa, uno dei più attivi nel mettere sotto processo la pandemia ( con quale risultato?), è il primo tra i paesi europei a sperimentare quanto tenue sia diventato il virus pandemico, con il suo sistema  sanitario messo duramente alle corde, centinaia di persone ricoverate in terapia intensiva e un bilancio conclusivo di 607 morti nel Regno Unito
Altri stati europei duramente colpiti saranno l’ Austria, il Belgio, la Francia, l’ Irlanda, Portogallo, Romania, Slovacchia e Spagna. 
La Grecia, un paese di 10 milioni di abitanti, registrerà a fine stagione 179 vittime e 368 persone ricoverate in terapia intensiva. 
In Polonia, patria di Ewa Kopacz, ministro diventato bandiera della resistenza alla falsa pandemia nel 2009, le vittime saranno 141.
Nella Repubblica Ceca 101
In Ungheria 88
In Georgia 49 
 Vengono risparmiati i paesi scandinavi, forse in virtù delle più elevate coperture vaccinali raggiunte l’ anno precedente.


In Italia, immemori della lezione della pandemia del 1968, si è deciso di affrontare la stagione in modo “normale” e non si sono adottate neppure le limitate misure di sorveglianza impiegate nell’ anno precedente. Nessuna informazione è stata data agli italiani, attraverso gli organi di stampa, della pesante situazione epidemica che si stava verificando in altri paesi europei, in particolare in Inghilterra, dove si era manifestata in anticipo rispetto ad altri paesi. L’ unica notizia che ha bucato la cortina del silenzio è stata quella della morte della animal trainer di Harry Potter. In totale mancanza di bollettini ufficiali, è solo dalle notizie di stampa, quasi esclusivamente locale, che si poteva apprendere dei numerosi casi fatali, ne ho contati ca 80,  che hanno colpito il nostro paese e di un numero imprecisato ( risulterà poi essere di 72 rispetto a 65 dell’ anno prima ) di persone sottoposte ad ECMO. In  tutti questi casi la morte o le complicanze venivano attribuite, da solerti amministratori locali o da responsabili sanitari, alle gravissime condizioni di salute preesistenti, anche se spesso i resoconti contraddicevano questo aspetto. Il virus era tornato ma si è fatto di tutto per renderlo invisibile e per convincere gli italiani che era tutto “normale”.

Di là dell’atlantico, mentre negli Usa la stagione fu abbastanza mite con prevalenza del virus H3N2, il Messico registrò 235 decessi per influenza H1N1.
 In Asia si sono contate 112 vittime in Tailandia e diverse centinaia in India a partire da agosto 2010, di cui 474 nel Maharashtra 94 nel Karnataka 109 nel Rajastan  182 nel Gujarat.

2011-2012 


La stagione 2011 nell’ emisfero sud è stata relativamente tranquilla, anche se situazioni critiche si sono registrate in Uruguay con 16 morti e 147 casi severi  e nel Venezuela con 15 morti e 77 casi gravi . Nel 2011-12 l’ Europa e il nordamerica torneranno alle prese con il virus H3N2 stagionale, che avrà un impatto  severo sulla popolazione anziana. In India  il virus pandemico continua a circolare, causando 405 vittime ufficiali. 

2012-2013



L’ inverno del 2012, nell’ emisfero sud, sorprende il Brasile ( già pesantemente colpito nel 2009) con 348 morti e 2600 casi severi con diagnosi accertata di influenza H1N1 e il Paraguay con 97 decessi.

Arriva l’ inverno 2012-13 in Europa e il bilancio risulta  pesante per la Francia con 67 morti e 506 persone ricoverate in terapia intensiva, in Polonia con 120 morti e 180 ospedalizzazioni gravi, in Svezia con 16 morti  e soprattutto nella Repubblica Ceca con 124 decessi e 532 persone ricoverate in rianimazione.

L’ India nel corso di quella stagione arriva a contare 708 decessi.


2013-2014


Siamo arrivati al 2013. Ci si potrebbe aspettare che il virus si sia finalmente placato  e invece, durante i rispettivi inverni, molti paesi dell’ america meridionale e settentrionale vengono attraversati da nuove ondate del virus con bilanci ancora sostenuti.


Sudamerica:



Argentina bilancio parziale, a stagione non conclusa, di 46 morti 

Brasile 512 morti   di cui ben 354 nel solo stato di San Paolo

Cile 33 morti

Ecuador 23 morti

Perù 114 morti  

 Venezuela 88 morti ufficiali,  molti di più secondo osservatori indipendenti, con grandi polemiche nel paese



America centrale


Costarica 28 morti


Portorico 16 morti



 Nordamerica 

L'  andamento nelle regioni del sud del continente non sembra aver impressionato più di tanto le autorità sanitarie, che non hanno ritenuto di emettere avvisi particolari per la propria popolazione e hanno finito per farsi sorprendere dalla stagione più severa dai tempi della pandemia



Canada 215 morti 

Stati Uniti conto ufficioso parziale di 1347 morti alla 5° settimana

Messico 755 morti 



 Europa 

La Spagna vive  una stagione assai movimentata, con ambulanze che corrono da un ospedale all’ altro per trasportare malati gravi, diversi ricoveri in rianimazione e molti decessi. Dai giornali trapelano notizie allarmanti che vengono però subito ridimensionate da zelanti funzionari pubblici che, come avviene da noi, tranquillizzano la popolazione dicendo che tutto è sotto controllo. Alla fine il bilancio ufficiale sarà di 269 morti e 2332 casi severi ospedalizzati, in gran parte per l’ influenza H1N1 .

Ugualmente grave il bilancio in Portogallo con 111 persone ricoverate in terapia intensiva e un numero imprecisato di morti e in Grecia con 117 morti e 300 ricoveri in terapia intensiva.
Lo stesso anno l' Egitto farà registrare 81 morti. 



Quest’ anno è toccata a noi e c’è chi giustamente si meraviglia, non essendoci stata nessuna notizia, non dico nei giornali ma neppure nei siti di divulgazione scientifica e sanitaria, riguardo le situazioni che vi ho illustrato. C' è motivo di allarme? Certamente no,  secondo le dichiarazioni che vengono diffuse ufficialmente:  le notizie che arrivano al pubblico sono scarse e debitamente controllate, i casi gravi riguardano, come è avvenuto in passato, solo i casi di persone gravemente ammalate e infine si è trovato il modo di addossare la colpa a coloro che non si sono vaccinati perché spaventati dalle notizie di stampa relative alla vicenda Fluad. Diciamo che la questione è giunta a proposito, come la classica foglia di fico che copre le vergogne, cioè le inadempienze dei nostri responsabili della salute pubblica

Apriamo un capitoletto apposito



La vicenda Fluad



Ne abbiamo parlato qui .

Ricapitolando, il 27-11 esce l’ incauto comunicato dell’ Aifa che sospende due lotti per sospetta associazione con casi fatali di persone di età avanzata e affetti da gravi patologie. Dopo la segnalazione  si scatenano gli allarmi e le polemiche, con la stampa che riporta le notizie di altri casi gravi riconducibili anche ad altri lotti, poi ad altri vaccini, in un crescendo che finirà per dare una pessima immagine del nostro paese e arrecherà un indubbio danno alla campagna di vaccinazione in corso. Diciamo subito che non va attribuita nessuna colpa alla stampa che, di fronte ad una segnalazione ufficiale di un organo importante di vigilanza e all’ effetto domino che si è creato, si è limitata a fare il suo dovere di cronaca. Si sono letti invece diversi giudizi che tendono ad addossare alla stampa una  responsabilità che onestamente non le spetta. 
Della vicenda si sta tornando a parlare in questi giorni in merito alla  stagione particolarmente difficile che stiamo attraversando con un carico pesante per i servizi territoriali di emergenza, per gli ospedali e un numero significativo di persone ricoverate in ECMO o già decedute a causa del ritorno dell' influenza H1N1. Nei commenti da parte di vari esponenti delle istituzioni e della classe medica si sta delinenando una tendenza a considerare responsabile della situazione non il ritorno del virus pandemico ma il presunto crollo delle vaccinazioni avvenuto in Italia in seguito alla vicenda Fluad.
Ai primi di gennaio, quando l' allarme influenza non era ancora importante,  si parlava di un calo di ca l’ 8-10% delle dosi distribuite, senza però dare una dimostrazione che questo fosse collegabile all’ allarme vaccini. Nel frattempo siamo entrati nel pieno di una delle stagioni peggiori degli ultimi anni, contrassegnata dal ritorno del virus H1N1 che, come è avvenuto in passato, esercita una pressione importante sul sistema sanitario, con numerose  persone appartenenti alle fasce più giovani della popolazione affette da forme gravi. Ma anziché parlare dell’ incapacità di prevedere il ritorno del virus ( i presupposti come ho scritto sopra c’ erano) e di predisporre un’ idonea campagna informativa, le colpe della situazione vengono riversate sulla vicenda del Fluad ed ecco che, magicamente, dal 10% si passa ad un 30% di calo delle vaccinazioni a livello nazionale.

Viene da chiedersi come sia possibile che un calo così consistente si sia verificato in un momento in cui la campagna di vaccinazione era in una fase avanzata. A fine novembre una parte importante della popolazione doveva essersi già vaccinata. Ma a sollevare forti dubbi ci sono due documenti che dimostrano come sia in atto da tempo un trend negativo nelle vaccinazioni, con una perdita di quasi 10 punti nella percentuale degli anziani che si vaccinano  dal 2011-12 al 2012-13 ( senza effetto Fluad) e soprattutto una forte riduzione dei vaccinati nelle categorie
più a rischio per il virus H1N1, cioè quelli di età compresa tra 18 e 65 anni con malattie preesistenti. Siamo passati dal 32% di coperture del 2008-09 al 18% dello scorso anno, con un trend in continua discesa. Solo i diabetici reggono con un 24%, mentre in altre categorie   ( malati di tumore, cuore, fegato reni) le percentuali scendono al 12-16%. 
In Italia esiste un problema strutturale, con più dell' 80% dei soggetti a rischio elevato per l' influenza H1N1, 4 su 5, che non sono protette nei confronti della malattia. L' episodio Fluad può aver marginalmente influito ad erodere ulteriormente queste percentuali già così basse, ma non può essere attribuita a questa triste vicenda la responsabiltà della situazione. Da tempo si sarebbero dovuto fare campagne informative che sensibilizzassero quella fetta della popolazione sui rischi rappresentati da un virus che non è diventato più mansueto solo perchè qualcuno ha decretato che la pandemia era finita.

Ci potrà essere anche un risvolto positivo delle scorrette informazioni fatte circolare, con più persone che saranno spinte a vaccinarsi nella prossima stagione, ma il problema vero è che da una parte non si è voluto far capire alla gente il rischio rappresentato dal ritorno del virus H1N1 sulla base dei precedenti sia locali sia internazionali e dall’ altra non si fa abbastanza per contrastare una disaffezione nei confronti dei vaccini che ha origini lontane e sta prendendo larghe aree della nostra popolazione, per effetto delle campagne denigratorie non efficacemente contrastate dall’ azione e dall’ esempio dei responsabili della salute.


















domenica 18 gennaio 2015

La storia di Cosimo, ovvero le verità invisibili sull'influenza H1N1





C’è una fiaba istruttiva di Christian Andersen che amavo molto quando ero bambino, perché dimostrava che i bambini nella loro innocenza sanno vedere dove gli adulti spesso non vedono. Si intitola I Vestiti Nuovi dell’ Imperatore. Nella storia è proprio un bambino ad additare alla folla osannante  il re che, alla testa del corteo che sfila per le strade principali della città, marcia baldanzoso sotto un baldacchino  e a pronunciare le parole: “ma non ha niente addosso”.  Pur vedendo che il re è sprovvisto di vestiti, tutta la folla, dai dignitari  ai ciambellani fino all’ ultimo suddito del regno, preferiscono autoconvincersi di essere loro degli stupidi piuttosto che andare contro all’opinione dominante e riconoscere la verità che appare chiaramente davanti ai loro occhi.

Una cosa simile è avvenuta con la pandemia del 2009, con il virus H1N1 che, inizialmente, anche in Italia ha creato grandi allarmi, in quanto l’attesa era per un virus che al pari del virus aviario H5N1 potesse provocare un elevato  numero di decessi e destabilizzare la nostra società ma che poi, man mano che ci si rendeva conto che il suo passaggio non era accompagnato da conseguenze tanto nefaste, è stato ritenuto una  bufala dovuta all’ennesimo passo falso dei sistemi di vigilanza internazionali. Di lì è iniziata la “caccia alle streghe”, con la messa sotto accusa di tutti coloro che in qualche modo venivano visti come i responsabili degli allarmi e gli ispiratori di un complotto volto a favorire le case farmaceutiche, tra i quali figuravano non solo le massime autorità sanitarie internazionali, ma anche i nostri ministri, funzionari governativi e dirigenti sanitari che avevano spinto per campagne giudicate sconsiderate e causa di sperpero di denaro pubblico. Non solo i rappresentanti del mondo politico e civile ma anche esponenti di primo piano dell’area scientifica hanno iniziato a denunciare le storture e le falsità che stavano dietro tutta la vicenda e lo hanno fatto nei vari ambiti sia pubblici che privati, pavoneggiandosi per non essere caduti nel tranello e per la lungimiranza dimostrata. In quei frangenti si è realizzata una singolare sinergia nei toni e negli argomenti tra le schiere di coloro che combattono la scienza ufficiale e le sue perfide emanazioni  e questi settori illuminati della nostra intelligentsia, come non era mai avvenuto in passato, senza che la circostanza creasse nessun imbarazzo a questi ultimi. Qualche voce  dissenziente e fuori dal coro ha cercato di farsi sentire ma è stata sommersa dalle urla e dalle grancasse di un’informazione che dilagava ormai attraverso tutti i canali, sempre più schierata contro la falsa minaccia. Nel frattempo l’epidemia si diffondeva in Italia e, se è vero che non causava grossi inconvenienti alle nostre linee di difesa territoriale,  non mancavano  segnalazioni di situazioni critiche, con persone spesso giovani che dall’oggi al domani si trovavano appesi a respiratori e attaccati a tubi che entravano e uscivano dal loro corpo. Qualche preoccupazione e allarme si creava a livello locale, ma le improrogabili necessità di evitare il panico tra la gente spingevano i responsabili della salute a minimizzare e a dichiarare che infallibilmente si trattava di persone talmente ammalate che sarebbero comunque morte. E, in ogni caso, che cosa rappresentavano questi casi isolati rispetto agli 8000 decessi che, si diceva, provoca ogni anno l’ influenza stagionale? Lo ha detto perfino il  ministro
In questo clima, le persone di ogni ordine e grado, dai comuni cittadini agli stimati professionisti, hanno assistito con apparente indifferenza  ad  un evento che si manifestava in un periodo insolitamente precoce, che provocava quadri che non si erano mai visti prima e che ha portato alla ribalta trattamenti terapeutici che non si erano mai sentiti nominare in precedenza come l’ECMO e (quasi) tutti hanno giudicato che fosse un avvenimento del tutto naturale e nell’ordine delle cose. Anche se dentro di loro una voce diceva che non era così, non hanno voluto sembrare stupidi e contraddire quello che era il sentimento dominante, condiviso dal vicino di casa, dal panettiere, dal poliziotto di strada, dal proprio curante, dal collega e dallo stimato professore, dalla persona autorevole, su su fino alle massime cariche dello stato che ci deve tutelare. “Noi siamo intelligenti, non ci facciamo infinocchiare” avranno detto in tanti, “è tutto naturale e nell’ordine delle cose”, si saranno ripetuti come una ninnananna che intorpidisce la coscienza…

Nel sonno collettivo sono morti diversi bambini, giovani adulti, molti, è vero, affetti da patologie ma non sempre così gravi come si è voluto far credere e alcuni perfettamente sani, un certo numero è stato sottoposto per lunghi periodi a terapie destinate a lasciare un segno nel corpo e nello spirito. Parlo non solo di quelli ufficialmente riconosciuti dalle statistiche ufficiali ma anche dei tanti che sono morti senza che venisse riconosciuta la causa, perché non sempre le morti per influenza vengono riconosciute come tali e vengono attribuite ad altre cause ma anche perché quella diagnosi non viene neppure sospettata se il virus è, a detta di tutti, innocuo. Non sono morti per una banale variante di un virus stagionale, ma per un vero virus pandemico, diretto discendente del virus che ha provocato la pandemia spagnola che, sebbene sia una pallida immagine di quel terribile antenato, è pur sempre in grado di aggredire soggetti suscettibili con forme severe, come era stato dimostrato dai primi studi che avevano evidenziato la sua capacità di attaccarsi ai recettori delle basse vie respiratorie  e di provocare quadri molto severi nei modelli animali e ha condiviso con i suoi predecessori pandemici la caratteristica di risultare più pericoloso per le persone più giovani rispetto ai virus stagionali e ha determinato la morte di un numero compreso tra 200000 e 400000 persone nel mondo, nell’80% dei casi al di sotto dei 65 anni. Ormai si può considerare questa un’acquisizione storica dopo che un’apposita commissione di esperti indipendenti,guidata da Harvey Fineberg, nel 2011 ha prosciolto l’OMS dalle accuse di aver dichiarato impropriamente la pandemia anche se non ha lesinato critiche al massimo organismo mondiale.

L’argomento non è però archiviato, perchè i virus pandemici mantengono parte della loro forza anche per diversi anni  dopo la loro apparizione e, a dimostrazione di ciò, in questi giorni stiamo assistendo ad una recrudescente ondata di quadri severi e mortali che sembrano farci rivivere i momenti più concitati del 2009.  Ed ecco pronto soccorso presi d’assalto, pazienti ricoverati in rianimazione qui, qui e qui, pazienti in ECMO trasferiti da un centro all’altro e già diversi morti. Ma l’ attenzione dei commenti sui giornali è  rivolta principalmente ad allontanare ogni timido segnale che possa rievocare le paure del passato e le parole d’ordine sono quelle già ascoltate del virus innocuo, pericoloso solo per le persone con patologie talmente gravi che sarebbero morte comunque e, se qualche responsabilità si volesse proprio individuare, questa va ricercata non nel virus, non sia mai, ma nella vicenda del Fluad e nelle campagne denigratorie che hanno portato al fallimento della vaccinazione, come se i numeri delle vaccinazioni per l’influenza raggiungano in Italia livelli elevati e abbiano subito un tracollo tale da poter incidere in maniera significativa sull’andamento della stagione.

Si segnalano anche due decessi pediatrici, una bambina di 2 anni deceduta a Brescia ( la diagnosi non risulta sui giornali ma mi è stata riferita da chi l’ha avuta in cura) e un bambino di 13 mesi morto a Lecce. Quest’ultimo mi porta a rievocare la storia di un altro bambino di Lecce, morto nel 2009 a causa di un'encefalite, nel periodo in cui il virus si diffondeva a macchia d’olio e gli sfortunati amministratori locali dovevano fare i salti mortali per trovare argomenti che rassicurassero la popolazione su decessi che riguardavano, al contrario delle parole d’ordine imperanti, soggetti sani, a volte facendo scempio della verità.

Ho ricostruito la sua storia attraverso gli articoli dei giornali pubblicati all’epoca dei fatti, riportati in grassetto, mentre in corsivo ci sono i miei commenti.




La storia di Cosimo






Questo è il titolo comparso sull'edizione online del Corriere e di altre testate, il primo dicembre del 2009



Virus A, morto a Lecce bimbo  di 2 anni
 

leggiamo alcuni passi dell' articolo

Il bimbo, di San Pancrazio Salentino (Brindisi), a quanto si è appreso, non era affetto da altre patologie. Aveva manifestato il primi sintomi la sera di venerdì scorso. Poi la febbre era rapidamente salita tanto che il sabato mattina il pediatra aveva fatto ricoverare il bambino nel vicino ospedale di Manduria. Viste le gravi condizioni del piccolo paziente, i medici ne hanno successivamente disposto il trasferimento a Lecce dove il bimbo è giunto in stato di coma. Già lunedì sera è intervenuta la morte cerebrale e il bimbo è stato tenuto in vita dalle macchine

Al bambino era stato fatto un tampone risultato positivo per influenza A-H1N1 e   la morte  venne attribuita ad una severa encefalite.


Fin qui i  tragici fatti di cronaca, che non dovrebbero lasciare dubbi sulle circostanze della morte.
Il nuovo virus, prodotto di un triplice riassortimento tale da renderlo irriconoscibile da parte del sistema immunitario delle persone più giovani, tra cui i bambini, pur avendo un andamento benigno nella stragrande maggioranza dei casi, in pochi, selezionati e sfortunati individui causa quadri fatali, prevalentemente polmonari ma talvolta anche cardiaci o, come in questo caso, cerebrali.



Ma in Italia siamo riusciti a volgere la tragedia di questo singolo caso e di tutta la vicenda pandemica in una farsa.



Vediamo gli sviluppi successivi.



Bimbo morto non aveva influenza A !




Titolano i giornali nei giorni successivi ed ecco che cosa scrive uno di essi :



Non era stato infettato dal virus A/H1N1 il bambino di due anni morto ieri a Lecce in ospedale. Lo ha reso noto l'assessore regionale alle Politiche della salute, Tommaso Fiore, primario anestesista

...

Fonti mediche dell'ospedale leccese hanno spiegato che per il piccolo Cosimo Brancasi è risultato positivo all'influenza A il tampone nasale (l'esame immediato e di routine per accertare se ci sia stato contatto con portatori del virus) ma non è stato riscontrato il
virus nel liquor cerebrospinale raccolto a livello della colonna vertebrale

...

"Il bambino morto a Lecce era affetto da una encefalite, cioè una patologia acuta del cervello, nella grande maggioranza dei casi gravi il virus H1N1 non dà encefaliti ma polmoniti per questo motivo abbiamo
eseguito la ricerca dell'H1N1 nel liquor e non abbiamo trovato traccia dell'H1N1" ha chiarito l'assessore Fiore. "Qualora fosse stato trovato il virus H1N1 nel liquor - ha precisato Fiore - saremmo stati certi del fatto che l'encefalite dipendesse dal virus H1N1, viceversa non
c'è traccia".




Quindi il virus c' era, ma fonti autorevoli, tra cui l'assessore regionale alla salute, un primario anestesista, dichiarano candidamente che il virus si è  trovato a passare  per puro caso e ha tolto subito il disturbo (ubi maior..).



Se le dichiarazioni fossero state improntate al rigore  scientifico, una semplice ricerca bibliografica avrebbe permesso di leggere articoli relativi a quadri di encefalite legate anche al virus dell'influenza stagionale, che si registrano, chissà perchè, in numero rilevante in Giappone, da cui risulta che quasi mai il virus viene individuato nel liquor, anche se l' origine virale dell'infiammazione cerebrale è fuori discussione.Si tratta di un fenomeno di tipo parainfettivo, probabilmente su base autoimmune.



Ma la preoccupazione maggiore in quei frangenti era quella di rassicurare , di non diffondere il panico tra la gente, pazienza  se questo comportava la conseguenza di dissuaderla dalla vaccinazione, anzi di portarla a vedere il vero pericolo nella vaccinazione.



Per l’epilogo della vicenda bisogna aspettare settembre del 2010, quando le acque sono ormai calme







Influenza A, fu causa del decesso del bimbo di San Pancrazio Salentino




I sospetti sulla morte del piccolo Cosimo Brancasi, deceduto a soli 2 anni e mezzo nel nosocomio "Vito Fazzi" di Lecce il primo dicembre dello scorso anno, sono stati confermati dalla perizia dei medici legali incaricati di accertare le cause della dipartita: il bimbo di San Pancrazio Salentino è morto perché contagiato dal virus H1N1.



Ma c' è un altro risvolto  della vicenda:




L’altro nodo angoscioso di questa vicenda riguarda uno dei passaggi chiave della denuncia presentata dalla famiglia. I genitori dicono di aver chiesto che al bimbo fosse somministrato il vaccino, un mese prima, sentendosi rispondere che non ce n’era bisogno, che Cosimo era sano e forte, che avrebbe saputo reagire. I genitori del piccolo Cosimo non hanno avuto dubbi, fin dal primo momento hanno sostenuto che fosse stato il virus dell’influenza H1N1 a uccidere il bambino.








Di casi come quello di Cosimo se ne sono verificati altri, almeno 15 bambini sono morti in Italia della  influenza-bufala  e almeno 4-5 erano sani come Cosimo, senza contare i molti bambini  ricoverati, anche in conseguenza di encefaliti, come è capitato al piccolo Cosimo.

In Italia sono decedute  ufficialmente 260 persone, il 23% delle quali senza precedenti problemi di salute ( dati dell' Istituto superiore di Sanità), a dispetto di tutti i proclami che volevano che a morire fossero solo quelli gravemente ammalati. 500 sono stati ricoverati in rianimazione e 50 hanno richiesto l'ECMO.



Non resta da sperare che un bambino alzi forte la sua voce cristallina e dica, tra lo stupore generale: ma è un vero virus pandemico!





domenica 11 gennaio 2015

La pandemia del 1918: i misteri che la circondano e le implicazioni per il futuro








“Non amo fallire, non amo lasciare le cose a metà”. Con queste parole il ricercatore di origine svedese Johan Hultin, emigrato nello stato americano dell’ Iowa quando aveva 25 anni e che aveva dedicato molte energie alla ricerca del virus responsabile della pandemia del 1918, esprimeva il proprio rammarico per non essere riuscito nell’ impresa. Eppure l’ idea di dissotterrare dei corpi ben conservati nel permafrost dell’ Alaska, suggerita a Hultin da un noto virologo di nome William Hale, sembrava promettente. Grande è stata l’ emozione quando, grazie  al permesso della matriarca di un  villaggio che nel 1918 aveva visto più del 90% della popolazione sterminata dal virus,  furono riportati alla luce i resti di una bambina di appena 12 anni, con i capelli neri intrecciati e abbelliti da nastrini rossi. Le analisi successivamente compiute sui resti della bambina e di altre persone disseppellite non portarono però a nessun risultato. Era l’ anno 1951. Negli anni successivi Hultin si trasferì in California, dove fece carriera come patologo, ma nel suo animo restava l’ amarezza per l’ insuccesso.

Alla fine degli anni 90 un altro ricercatore, immigrato dalla Germania negli Stati Uniti all’età di 9 anni a seguito della famiglia e che all’ epoca conduceva un laboratorio di ricerca presso l’ Istituto Patologico delle Forze Armate ( AFIP), riuscì a pubblicare sulla rivista Science, dopo che era stato respinto dalla rivista Nature, un articolo su quella che riteneva  una parte della sequenza dell’ emagglutinina e di altri proteine del virus. Il risultato era stato possibile grazie all’ impiego di nuove tecnologie di indagine molecolare su resti  di un soldato di nome  Roscoe Vaughn, morto il 26 Settembre del 1918 a Camp Jackson, nella Carolina del Sud. Lo scienziato si chiamava JefferyTaubenberger.

Il mondo scientifico accolse tuttavia lo studio con scetticismo. L’ articolo capitò tra le mani di Hultin, che si rese immediatamente conto che con l’ aiuto  delle nuove tecniche sarebbe stato possibile resuscitare il suo antico progetto. Si mise subito in contatto con Taubenberger, che in quel periodo si trovava in difficoltà per la scarsa disponibilità di materiale di ricerca e gli assicurò di essere in grado di procurargliene dell’ altro. Hultin tornò nuovamente in Alaska e questa volta riuscì a riesumare il corpo di una donna obesa, che soprannominò Lucy ( come lo scheletro di donna trovata nel 1973 e che aveva permesso di far luce sull’ evoluzione umana). I suoi organi interni, polmoni, cuore, fegato e reni, erano ben conservati grazie all’ involucro di grasso che li aveva ben protetti.

Rientrato a casa spedì subito i tessuti a Taubenberger. Pochi giorni dopo gli arrivò la tanto attesa notizia che era stato trovato il virus, le cui sequenze si dimostrarono coincidenti  con quelle dei soldati. 8 anni più tardi sarà  decifrato l’ intero codice genetico del virus più terribile della storia, che ha contagiato 1/3 della popolazione del pianeta e ha causato almeno 50 milioni di morti, in quello che è considerato uno degli eventi più catastrofici nella storia dell’ umanità.


La ricostruzione della composizione del virus, che pure ha dato un forte impulso alla ricerca, non è però servita a chiarire i molti misteri che lo circondano. Innanzitutto le sue origini rimangono poco chiare. Purtroppo nei primi anni del novecento non solo non esistevano gli strumenti di sorveglianza epidemiologica di cui disponiamo oggi, ma non si conosceva neppure il virus, che sarà identificato solo nel 1931. E’ probabile che l’ evento iniziale sia stato uno scambio di materiale genetico (quello che in termini tecnici si chiama riassortimento) tra virus appartenenti a specie diverse, con un ruolo importante giocato da un virus di tipo aviario. Gli uccelli selvatici rappresentano il serbatoio principale dell’ influenza e dai continui incroci tra virus aviari e di altri specie si formano virus dalle  caratteristiche mutate, alcuni con la potenzialità di provocare i grandi eventi pandemici. Non sappiamo neppure da quale parte del mondo sia emerso. L’ ipotesi principale è che abbia avuto origine in Asia, al pari delle due successive pandemie, forse portata in Europa da 96000 lavoratori cinesi che lavoravano al servizio delle truppe britanniche e francesi nei vari fronti di guerra, ma altre ipotesi puntano al Kansas, nella contea Haskell, dove si manifestò uno dei primi focolai. Quello che sappiamo è che  nella primavera del 1918 il virus iniziò a manifestarsi e poi si diffuse in modo irregolare negli Stati Uniti, in Europa e probabilmente in Asia, con focolai circoscritti in cui si segnalavano un grande numero di ammalati ma senza conseguenze particolarmente rilevanti. Questa prima fase durò circa 6 mesi. 
Con uno sforzo della fantasia, proviamo ad immaginare una riunione dell’ OMS, che  allora non esisteva ancora, agli inizi dell’ estate del 1918. All’ ordine del giorno la discussione sull’ opportunità o meno di dichiarare una nuova pandemia, alla luce dei rapporti che provenivano da varie parti del mondo su un nuovo virus che faceva ammalare tante persone senza però causare un’ elevata letalità, almeno secondo gli standard dell’ epoca. Secondo molti pensatori illuminati dei nostri tempi non si sarebbe dovuto fare un proclama di quel tipo, che avrebbe creato solo un allarme ingiustificato nella comunità internazionale e tuttavia… arriva l’ autunno successivo e  si scatena il finimondo. Credo che quest’ aspetto meriti una qualche riflessione.
 La letalità schizzò al 2,5%, con punte che arrivarono, in certi paesi,  all’ 8-9% mentre altri risultarono meno colpiti. Cosa abbia causato questo repentino cambiamento costituisce un altro dei  misteri di questo virus. Non si sa se possa essere imputato alle diverse condizioni socio-ambientali e climatiche o ad una successiva mutazione. Quest’ ultima ipotesi non può essere asseverata in quanto gli unici campioni del virus risalgono alla seconda ondata, non ne è rimasto nessuno risalente alla prima fase. Quello che è certo è che il virus si diffuse rapidamente in gran parte del mondo, grazie agli spostamenti delle truppe verso e di ritorno dai vari fronti di guerra. Questa rappresentò probabilmente la novità più sostanziale rispetto alle epoche più remote in cui le malattie tendevano invece a propagarsi molto più lentamente, seguendo le rotte commerciali o i viaggi dei pellegrini e un anticipazione di quella che sarà la modernità, con il mondo che diventerà sempre più piccolo man mano che le comunicazioni e  i trasporti renderanno le diverse parti del nostro pianeta sempre più vicine. La guerra e le desolazioni e le miserie che da questa derivarono furono certamente tra gli elementi che contribuirono al bilancio drammatico. Le truppe, costrette a vivere in condizioni di affollamento e indebolite dalle condizioni di vita estreme a cui erano sottoposte, furono decimate dal virus, che però si diffondeva con altrettanta facilità e con conseguenze non meno gravi nei contesti metropolitani lontani dagli scenari bellici. Un altro elemento che contribuì grandemente al drammatico impatto di quella epidemia fu la mancanza di conoscenze e di strumenti di intervento sanitario che verranno acquisiti solo in periodi successivi, parliamo di un’ epoca in cui non esistevano ancora gli antibiotici che avrebbero potuto debellare le frequenti sovrainfezioni batteriche, le cure di tipo intensivo che consentono al giorno d’ oggi di mantenere in vita pazienti con stati avanzati di insufficienza respiratoria ed erano solo agli albori le conoscenze relative alla diffusione e alla prevenzione delle malattie infettive. Ma le devastazioni della guerra e  le carenze sanitarie non sono in grado di spiegare quello che fu uno degli effetti più drammatici e che  più ha sconcertato e interrogato le generazioni successive: a subire l’ impatto maggiore non furono i soggetti fragili come i bambini e gli anziani  ma quelli che appartenevano alla classe più forte e più sana della popolazione, vale a dire i giovani nella fascia tra i 18 e i 30 anni.
Come si vede nel grafico, mentre negli anni che precedono e seguono la pandemia l’ aspetto è del tipo a “U”, con le estremità che sono le fasce estreme e l’ avallamento le fasce intermedie della popolazione, nel 1918 l’ aspetto della curva diventa del tipo a “W”, in cui alle due estremità si aggiunge una terza punta, costituita appunto dai giovani. Il  rilevante contributo alla mortalità di questa classe ha determinato anche un’ anomalia nella curva che rappresenta l’ aspettativa di vita dal 1900 in avanti che, come si vede, cresce in maniera abbastanza regolare nel corso degli anni ad eccezione del 1918, in cui fa segnare un significativo arretramento. Le possibili spiegazioni sono diverse. Un aspetto da mettere prima di tutto in evidenza e che è poco conosciuto riguarda l’ aggressività del virus della spagnola. Molti sono portati erroneamente a pensare che ammalarsi con quel virus significasse  contrarre una malattia che, se anche non portava alla morte, comportasse quadri più severi di quelli che  conosciamo e sperimentiamo oggi. In realtà non era affatto così, visto che il 95% delle persone che si ammalavano, almeno nei contesti più progrediti, avevano quadri indistinguibili rispetto a quelli delle normali influenze e solo una percentuale relativamente piccola contraeva forme severe. Quest’ aspetto può suscitare meraviglia, ma in realtà è una delle ragioni del successo del virus influenzale, anche nelle sue forme più severe,  perché grazie ad esso si diffonde ampiamente e velocemente. Un ‘ ipotesi che è stata avanzata per giustificare il tragico bilancio della pandemia è la cosiddetta tempesta di citochine, che sta ad indicare un movimento incontrollato di componenti importanti del nostro sistema immunitario che, non riuscendo a contenere l’ infezione, porta ad una risposta infiammatoria talmente smisurata da produrre un danno consistete all’ organismo. Le persone più giovani avrebbero una maggiore propensione a questo tipo di fenomeno proprio per la maggior forza delle loro difese immunitarie. Certamente questo è un meccanismo importante, che è stato dimostrato anche in anni recenti in relazione ai casi gravi che si sono verificati, ad esempio con l’ ultima pandemia, ma non è in grado di spiegare del tutto quello che è successo. Un altro elemento fondamentale, che ha  contraddistinto anche tutte le pandemie che si sono susseguite nel corso del ventesimo secolo, compresa quella recente del 2009, è il cosiddetto age shift, che rappresenta la tendenza dell’ epidemia a risparmiare gli anziani grazie al “ricordo” di un’ infezione contratta  nelle loro età più verdi e a colpire invece le persone più giovani, che risultano invece del tutto indifese nei confronti della nuova variante. A questo proposito Worobey, Han e Rambaut hanno avanzato un interessante ipotesi in un articolo pubblicato nella rivista PNAS (1). Gli autori hanno ricostruito la storia dei ceppi dominanti a partire dal 1830 e hanno scoperto che nel 1889 si è verificata un' epidemia, la cosiddetta influenza russa, dovuta al ceppo H3N8. Il virus della spagnola apparteneva invece al tipo H1N1, che si era costituito dall' unione di ceppi umani mescolati a ceppi aviari. I nati dopo il 1889 non avevano anticorpi nei confronti di questo virus. Dopo il 1900 si sarebbe diffuso un altro virus del tipo H1N1 e questo spiegherebbe perché i ragazzi al di sotto dei 18 anni siano stati meno colpiti. I giovani tra i 18 e i 29 anni si sarebbero invece trovati in una finestra di vulnerabilità. Lo studio si basa sulla scoperta che i geni dell' influenza evolvono a velocità diverse a seconda delle specie animali. Nei polli le variazioni sono molto veloci mentre nei maiali molto lente. Tenendo conto di questa differenza e ricalcolando l' evoluzione dei ceppi di virus per ciascuna delle specie portatrici, il team di ricercatori ha potuto ricostruire il quadro della letale epidemia del 1918. Questa non sarebbe stata causata da un'improvvisa "migrazione" di geni aviari verso il ceppo dell'influenza umana, ma da uno spostamento progressivo a partire dal 1900. In un ceppo già esistente, dunque, si sarebbe verificata una variazione nel tipo di emoagglutinina, rendendo il virus particolarmente virulento.



Quali implicazioni ci possono essere per il futuro? 

Dopo i “falsi allarmi” dell’ influenza aviaria H5N1 e della pandemia del 2009, che hanno tenuto con il fiato sospeso le popolazioni mondiali per poi rivelarsi molto meno gravi delle aspettative, si è diffuso nella gente un sentimento di incredulità e scetticismo che porta a sottostimare potenziali rischi futuri. In verità è bene non abbassare la guardia perché, se è vero che il mondo è molto meglio attrezzato nell’ affrontare nuove emergenze di quanto lo fosse nel 1918, va tenuto presente che le condizioni che possono portare all’ emergenza di nuovi ceppi virali potenzialmente pericolosi e alla loro rapida diffusione sono probabilmente maggiori adesso di quanto lo erano agli inizi dello scorso secolo  e le armi che abbiamo a disposizione sono appena sufficienti a controllare una pandemia di modesta portata come quella del 2009, dove comunque si è assistito a gravi ritardi e lacune nei sistemi di preparazione e di contenimento. Laddove c’è stato un aumento di poco superiore rispetto alla media nel numero di casi gravi, anche in paesi non sottosviluppati come in Australia nel 2009 o in Inghilterra nel 2010, i rispettivi sistemi sanitari sono stati messi duramente alla prova e sono arrivati al limite del tracollo. Rispetto al 1918 abbiamo si i vaccini, ma si è visto come la tecnologia di produzione sia ancora farraginosa e non consenta di renderli disponibili in tempi utili. Gli antibiotici potrebbero essere in grado di fare la differenza e certamente potranno farla, ma stiamo attenti al preoccupante fenomeno delle resistenze che potrebbe renderli armi spuntate. Le tecniche di supporto vitale sono ugualmente un’ arma importante, ma sono limitate nella loro consistenza numerica e appena sufficienti a tenere sotto controllo situazioni che si discostino di poco dall’ ordinario, non sono invece in grado di far fronte a eventi di portata maggiore. Per tutti queste ragioni è importante potenziare gli strumenti di sorveglianza, in modo che siano in grado di rilevare con anticipo sufficiente situazioni di pericolo in qualsiasi parte del mondo si verifichino e predisporre piani pandemici che si possano applicare concretamente alle diverse situazioni e che prevedano una fase di preparazione e di coinvolgimento attivo di tutte le figure deputate alla loro attuazione e non che vengano calati dall’ alto, come è successo nel 2009, senza che nessuno sappia quali siano i  compiti e i ruoli che spettano ad ognuna delle parti coinvolte.
Il sogno di Hultin si è alla fine realizzato, ma l' incubo per l' umanità non si è dissolto.











1)Michael Worobey,  Guan-Zhu Han, and Andrew Rambaut Genesis and pathogenesis of the 1918 pandemic H1N1 influenza A virus PNAS 2014 111 (22) 8107-8112; published ahead of print April 28, 2014, doi:10.1073/pnas.1324197111