sabato 18 aprile 2015

Il virus dell' influenza visto da vicino: aspetti strutturali e ciclo vitale



Con questo articolo vi propongo un viaggio nel mondo microbiologico  per scoprire la natura ed il comportamento del protagonista di questo blog.

CENNI STORICI


Il virus influenzale è conosciuto fin dai tempi antichi, se è vero che già Ippocrate 2400 anni or sono ne dà una pur sommaria descrizione. Periodicamente emergono ceppi caratterizzati da maggiore capacità di diffusione e letalità che sono all’ origine delle pandemie. La prima di cui si hanno riferimenti storici certi avvenne nel 1580, quando il virus si diffuse dall’ Asia fino all’ Europa, attraverso l’ Africa. La pandemia del 1918 è considerata il secondo evento infettivo più luttuoso nella storia dell’ umanità, dopo la peste nera, responsabile di ca. 50-100 milioni di morti. Il virus è stato isolato per la prima volta nei maiali nel 1931, mentre bisogna attendere il 1933 per il primo isolamento negli esseri umani.


STRUTTURA




Il virus influenzale è del tipo a singola catena di RNA e appartiene alla famiglia degli Orthomixoviridae.
Le nucleoproteine presenti all’ interno permettono la distinzione di tre diversi tipi: A, B e C. I virus di tipo A sono responsabili di gran parte delle infezioni umane e di quasi tutte le infezioni animali. Sono costituiti da un capside che presenta nella parte esterna un rivestimento sfingolipidico acquisito dalle membrane delle cellule ospiti, rafforzato all’ interno dalla matrice (proteina M1) e attraversato da canali ionici ( proteina M2). All’ interno è presente il materiale ribonucleoproteico, con 8 filamenti di RNA a polarità negativa, codificanti ciascuno per 1 o 2 diverse proteine, 3 polimerasi ( PB1, PB2 e PA) la nucleoproteina (NP) e le proteine non strutturali ( NS1 e NS2). Un ruolo chiave, sia nella virulenza che nel riconoscimento da parte del sistema immunitario, è dato dalle due proteine di membrana, l’ emoagglutinina (HA) e la neuraminidasi (NA).
Queste determinano la sottotipizzazione dei virus di tipo A: si conoscono 17 varianti di HA e 10 di NA con diverse possibili combinazioni. Tutti i sottotipi infettano gli uccelli, eccetto l’ H17N10 di recente identificazione, che sembra esclusivo dei pipistrelli.


CICLO INFETTIVO E REPLICAZIONE *



Il virus influenzale, come tutti i virus, è un parassita intracellulare obbligato. Condizione necessaria per la sua replicazione e patogenicità è l’ ingresso nella cellula ospite, che avviene tramite legame dell’ HA ai recettori di membrana della cellula. L' HA è costituita da tre distinte catene. Come forma, possiamo paragonarla ad un fungo composto da due parti: il fusto e la testa globulare. L’ HA riconosce l’ acido sialico, che è un piccolo zucchero presente nella parte terminale delle glicoproteine presenti sulla superficie cellulare.
E’ importante sapere che esistono varie forme chimiche di acido sialico e che i vari ceppi di influenza si diversificano in base al loro diverso grado di affinità ad esse.
L’ acido sialico si lega al galattosio, che è lo zucchero che subito lo precede, mediante due possibili tipi di legame, denominati alfa (2,3) e alfa (2,6), a seconda che il carbonio in posizione 2 dell’ acido sialico si leghi al carbonio in posizione 3 o 6 del galattosio.
L’ alfa (2,6) è il tipo di acido sialico maggiormente espresso dalle cellule dell’ albero respiratorio umano, mentre l’ alfa (2,3) è presente solo nelle cellule ciliate e nelle cellule epiteliali delle basse vie respiratorie. Questo ha importanti implicazioni, soprattutto per quanto riguarda l’ infezione umana da parte di ceppi aviari. Il virus H5N1 altamente patogeno è in grado di replicarsi nell’ epitelio respiratorio per la presenza di alcune cellule che permettono un legame di tipo alfa (2,3), ma il mancato legame ai recettori alfa (2,6) ostacola la sua diffusione ad altri soggetti. I virus pandemici del 1918, del 1957 e del 1968 e del 2009 si legano invece preferibilmente ai recettori delle alte vie respiratorie.
I suini possiedono cellule dell’ epitelio tracheale con recettori di entrambi i tipi egualmente distribuiti e rappresentano i cosiddetti “mixing vessel” in quanto, potendo essere attaccati da virus sia umani che aviari, permettono il rimescolamento del materiale genetico e la creazione di nuovi ceppi con potenziale pandemico.
La NA ha la funzione preminente di permettere il rilascio dei nuovi virioni dalle cellule, ma recenti studi hanno messo in evidenza il suo ruolo anche nel consentire al virus di attaccarsi alle cellule, staccando l' acido sialico presente sulle glicoproteine dello strato mucoso che potrebbe "confondere" l' HA, che deve agganciarsi unicamente all' acido sialico delle proteine cellulari. Oseltamivir (tamiflu) e zanamivir (relenza) sono analoghi strutturali dell' acido sialico e si legano strettamente al sito di legame della NA, impedendole di svolgere le sue funzioni.
Una volta che l’ HA si è agganciata al recettore, il virus penetra sfruttando il meccanismo dell’ endocitosi, lo stesso che permette l’ ingresso alle comuni molecole. Non appena la vescicola endosomiale che contiene la particella virale si sposta verso il nucleo, il ph al suo interno si abbassa per l’ attivazione di un canale che pompa protoni (H+) all’ interno. Quando il ph endosomiale raggiunge il valore di 5, l’ HA subisce una modifica conformazionale che porta all’ esposizione del peptide di fusione, una piccola sequenza idrofobica che si inserisce nella membrana del corpuscolo endosomiale, facendo sì che questa si fonda con il rivestimento virale. In questa maniera il materiale genetico può fuoriuscire nel citoplasma della cellula e da qui raggiungere il nucleo. I filamenti di RNA non sono liberi, ma sono avvolti dalle proteine, in particolare dalla proteina della matrice (M1). Qui entra in gioco il canale ionico (proteina M2) che pompa ioni H+ dentro il capside virale, consentendo all’ RNA di sganciarsi. La proteina M2 è il bersaglio degli antivirali di prima generazione ( come l’ amantadina). La resistenza a questi composti avviene grazie ad una modifica aminoacidica.


Un passaggio cruciale è quello in cui l’ HA espone il peptide di fusione. Affinché questo avvenga, l’ HA deve essere spaccata ( cleavage) dalle proteasi cellulari. L’ HA è in realtà un trimero, formato da 3 catene uguali. Il punto di spaccatura si trova alla base dell’ HA, vicino alla membrana capsidica. Una volta innescata la reazione, l’ HA si divide in due distinte subunità: HA1 e HA2. La parte N- terminale di HA2 contiene la sequenza denominata peptide di fusione. L’ importanza di questo processo è data dal fatto che in assenza di cleavage, cioè delle idonee proteasi cellulari che lo innescano, il virus risulta inoffensivo. Negli uomini la replicazione virale avviene solitamente nell’ albero respiratorio, perché solo in questa sede sono presenti le proteasi necessarie. I virus del tipo H5 e H7 altamente patogeni subiscono invece il cleavage anche da parte di tessuti come fegato, reni, cervello e questo spiega la loro maggiore virulenza. Anche il virus del 1918 condivideva questa proprietà.
Una volta che l’ RNA virale è entrato nel nucleo, funziona come uno stampo per la produzione di mRNA. Il processo avviene per opera delle polimerasi virali ( PA, PB1 e PB2). Le polimerasi sono macchine tutt’ altro che perfette e spesso commettono errori nell’ assemblare le catene di mRNA, inserendo nucleotidi sbagliati. A differenza dei virus a DNA, i virus a RNA non possiedono l’ esonucleasi, che è un’ enzima che serve a riparare gli errori, determinando un numero elevato di mutazioni: si calcola un’ incidenza di 1 ogni 1000-1000000 nucleotidi. Se consideriamo che il genoma di un virus contiene 10000 basi, la mutazione di 1 ogni 10000 significa che ogni genoma ne possiede almeno una. Se da un singolo virus nascono 10000 nuove particelle virali, questo tasso di errore implica che si sono prodotti 10000 mutanti. Qui sta la ragione del grande successo dei virus a RNA e della loro capacità di evolvere con grande rapidità. Da questa proprietà discende il concetto di quasispecies. Quando ci viene detto che in una determinata stagione circolano 1 o 2 ceppi virali, non dobbiamo pensare ad essi come ad una popolazione omogenea, ma ad un vasto numero di particelle differenti, con la conseguenza che la prevalenza di alcune varianti rispetto ad altre può spiegare in parte il diverso impatto su individui e popolazioni differenti.
La produzione dei nuovi virioni avviene tramite la translazione dell' mRNA nei nuovi componenti proteici che poi devono essere assemblati. HA e NA e M2 sono sintetizzate da parte dei ribosomi adesi al reticolo endoplasmatico (RE). Una volta prodotte vengono inserite nella membrana del RE e quindi trasportate tramite vescicole fino alla superficie cellulare dove si fondono con la membrana cellulare e in essa si inseriscono già nella giusta posizione. I nuovi filamenti di (-)RNAs sono prodotti nel nucleo e poi trasferiti nel citoplasma dove si uniscono alle proteine PA, PB1 PB2 e NP per formare il complesso ribonucleoproteico. Queste proteine, insieme a M1( matrice), vengono prodotti da parte dei ribosomi liberi. M1 andrà a formare la struttura interna del capside virale.
I nuovi virioni sono poi rilasciati attraverso un processo di gemmazione, mediante il quale le nuove particelle protrudono dalla superficie fino a staccarsi. Appena formate queste tenderebbero ad attaccarsi alle molecole di acido sialico presenti sulla superficie cellulare, se non fosse per la NA che rimuove le molecole di acido sialico e permette lo sganciamento permettendo l’ inizio di un nuovo ciclo infettivo.


Gran parte dei contenuti e delle immagini sono tratti dal sito di Vincent Racaniello, professore di Microbiologia e Immunologia presso il College of Physicians and Surgeons della  Columbia University

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