domenica 22 marzo 2015

Vaccini per l' influenza: nuove sfide e nuove frontiere








La stagione 2014-15 che sta giungendo a conclusione si è rivelata  una delle più severe degli ultimi anni e questo è in parte dovuto all’ emergenza di un ceppo non previsto dalle delibere dell’ OMS, che ha determinato una scarsa efficacia del vaccino proposto quest’ anno. Al vaccino influenzale va riconosciuto senz’ altro il merito di porre un argine importante a  quello che è il pesante impatto dell’ influenza sulla popolazione, ma nel corso degli anni sono emerse numerose criticità che fanno capire che è probabilmente  giunto il momento  di esplorare altre strade.

Alcuni studi recenti hanno messo in discussione il ruolo delle campagne di  vaccinazione basate sulla proposta dei vaccini tradizionali e che vedono come target le persone anziane e quelle appartenenti alle categorie a rischio. Osterholm nel 2011 ha pubblicato una meta-analisi che ha messo al setaccio più di 5000 studi pubblicati dal 1967 in avanti e ha trovato che solo 31 di questi forniscono prove convincenti dell’ efficacia dei vaccini antinfluenzali, ma queste riguardano solo categorie come i giovani adulti ( 18-65) e non i soggetti anziani e i bambini, almeno per il vaccino iniettivo. Per il vaccino basato su virus vivi da somministrare per via nasale, 10 RCT dimostrano un’ efficacia dell’ 83%, ma solo nei bambini di età compresa tra 6 mesi e 7 anni. 

Risultati simili si hanno nelle analisi della Cochrane riguardo adulti  e bambini.

   Il fatto è che il vaccino dell’ influenza, a distanza di quasi 80 anni dalla realizzazione dei primi prototipi, non ha avuto un’ evoluzione che permettesse di rispondere pienamente alle sfide rappresentate da un virus che fa delle continue variazioni e riarrangiamenti i suoi punti di forza.



Dati storici



L’ influenza è una malattia che ha un impatto severo sulla  popolazione e si stima che provochi, solo in Italia, una media di 8000 decessi all’ anno, in particolare tra i soggetti anziani e fragili. Da 5 anni è in circolazione il nuovo virus H1N1 che ha per target la fascia di popolazione tra i 40 e i 60 anni, anche se ci sono segnali che stia lentamente spostando il suo raggio d’ azione verso le persone di età più avanzata. E’ dai tempi della grande pandemia del 1918 che si è cercato di mettere a punto sistemi efficaci per combattere la malattia, ma solo dopo che è stato scoperto il virus, dapprima nei suini e poi nell’ uomo, nei primi anni 30, che si sono iniziati a sperimentare i primi vaccini. Il primo a realizzare un vaccino, del tipo vivo attenuato, è stato Smorodintseff nel 1936, che sarà poi utilizzato in Russia per 50 anni, ma che presentava vari problemi quali instabilità, rischio di ricombinazione con ceppi selvaggi, preesistente immunità che ne riduceva l’ efficacia. Il primo vaccino inattivato è stato realizzato negli USA nel 1938  da Thomas Francis e da Jonas Salk ( che metterà poi a frutto tali studi per realizzare il vaccino contro la poliomielite), ottenuto da un ceppo denominato PR38, isolato a Portorico nel 1934,  fatto proliferare nella cavità allantoidea delle uova embionate di gallina e successivamente disattivato con formalina, destinato alle truppe impegnate sui vati fronti di guerra.  Il primo vaccino inattivato era monovalente ( tipo A) e nel 43, dopo la scoperta del ceppo B, divenne bivalente. Nel 1947, dopo alcuni anni di risultati soddisfacenti, ci fu un calo di efficacia che venne attribuito, grazie alle prime indagini microbiologiche disponibili all’ epoca, a una modifica del ceppo per quello che in gergo tecnico viene definito drift. I virus influenzali sono soggetti a modifiche estese (shift) che danno origine a nuovi ceppi pandemici e a drift, che sono cambiamenti minori, ma comunque in grado di evadere la risposta anticorpale indotta da precedenti infezioni o vaccinazioni, da cui deriva la necessità di riformulare periodicamente i componenti del vaccino.

Dopo la pandemia del 1957, venne aggiornata la nomenclatura del virus, passando dal sottotipo H1N1 all’ H2N2 - un’ altro cambiamento importante avverrà nel 1968 con l’ entrata in scena del virus H3N2 - e si iniziò a proporre annualmente un vaccino che tenesse conto delle variazioni continue dei virus sia di tipo A che B. Nel 1978, con il ritorno in circolazione del virus H1N1, forse sfuggito ad un laboratorio dell’ ex Unione Sovietica, il nuovo ceppo venne stabilmente aggiunto dando inizio alla presente era del vaccino trivalente.

Tradizionalmente vengono usate le uova di gallina come terreno di coltura per lo sviluppo dei vaccini. I ceppi devono poter crescere rapidamente senza determinare un’ immediata morte cellulare ed essere portatori degli antigeni di superficie emagglutinina (HA) e neuraminidasi (Na) dei virus candidati per il vaccino. Per far questo si utilizzano in genere i ceppi ricombinanti 6:2, che hanno le 6  proteine interne ricavate dal virus PR38 o altri simili, a cui vengono aggiunte le proteine di superficie dei ceppi selvaggi verso cui si vuole dare protezione. Per far questo, in un primo tempo si sono utilizzate tecniche di riassortimento, co-infettando le stesse cellule con i diversi tipi di virus in modo che avvenisse lo scambio di materiale genetico e più recentemente con il metodo della reverse genetic, attraverso cui è possibile inserire uno specifico gene all’ interno del genoma  virale ottenendo risultati più precisi.

I componenti virali ricavati dalle uova devono essere purificati per limitare gli effetti avversi legati ai componenti del terreno di coltura. Le prime tecniche di purificazione impiegavano l'assorbimento del virus tramite i globuli rossi di pulcino a 4 °C e poi l'eluizione a 37 °C, ma il risultato non era ottimale. Tecniche successive si sono avvalse  della centrifugazione differenziale ad alta velocità del fluido allantoideo per separare il virus dai contaminanti solubili, mediante sedimentazione. Questo approccio è stato poi perfezionato con metodiche che utilizzano il gradiente di densità, in cui il virus viene centrifugato ad alta velocità in un gradiente di saccarosio o con la centrifugazione a flusso continuo.

Dal 2007, alle colture nelle uova embrionate si è aggiunta la possibilità di far crescere i virus nelle linee cellulari di mammiferi, come le cellule VERO ( scimmia) e MDCK ( cane)  e vaccini così prodotti hanno avuto l’approvazione dell’ Ente Europeo per i Farmaci (EMA). Questo sistema ha  il vantaggio di non dipendere dalla fornitura di uova, che possono essere carenti a causa delle epidemie che in maniera ciclica colpiscono gli allevamenti e di evitare reazioni allergiche, ma le tecniche di produzione non sono semplici e al momento questo tipo di vaccini copre solo una quota marginale del mercato.

Uno dei problemi maggiori delle attuali strategie di produzione sono i lunghi tempi di attesa richiesti per rendere effettivamente disponibili i preparati commerciali. I ceppi che entreranno a far parte della composizione dei vaccini, distribuiti agli inizi della stagione, vengono deliberati da un’ apposita commissione dell’ OMS, sulla base dei dati di sorveglianza mondiale, nei mesi di febbraio  e settembre rispettivamente per l’ emisfero nord e sud, con largo anticipo rispetto all’ inizio effettivo della stagione. In questo lungo periodo il virus può subire dei drift che rendono meno efficace o talvolta vanificano la protezione nei confronti delle nuove varianti. E’ quanto sta succedendo nell’ ultima stagione, in cui in varie aree del mondo i virus in circolazione del sottotipo H3N2 non corrispondono a quelli presenti nel vaccino deciso per quest’ anno e una minore protezione e un maggior impatto in termini di morbilità e mortalità, soprattutto a carico della popolazione anziana, sono stati rilevati in Nord America, Europa e Asia.

I ceppi di tipo B sono stati a lungo considerati meno severi e meno soggetti a variazioni significative, ma in realtà i dati di sorveglianza hanno mostrato che non è così . Inoltre, se è vero che questo tipo di virus non è mai risultato essere all’ origine di eventi pandemici, in alcune stagioni sono risultati essere i virus prevalenti, come è avvenuto durante l’ inverno 2005-06 in Europa.

Durante gli ultimi 25 anni si sono affermate due distinte linee di influenza B. Nel 1987 ha fatto la sua comparsa il virus B/Victoria/2/87 che ha dominato fino al 1990, quando per la prima volta si è manifestato il virus B/Yamagata/16/88. Da allora si è verificata una sostanziale co-circolazione dei due virus, talvolta con una prevalenza dell’ uno rispetto all’ altro, talvolta con una simultanea circolazione, rendendo difficile e spesso errata la previsione del ceppo da inserire nel vaccino. Tra il 2000 e il 2007 sono stati riportati casi di mancata corrispondenza tra il ceppo vaccinale e quello circolante in diversi paesi, con una protezione solo parziale nei confronti del ceppo alternativo. Negli USA tra il 1999 e il 2010 c’è stata corrispondenza solo in 5 anni.

Questi antefatti costituiscono la premessa alla nascita  del vaccino quadrivalente, che è stato di recente approvato negli Stati Uniti e in Europa e che l’ OMS propone come scelta valida nelle sue raccomandazioni annuali fin dal 2013.


Un altro limite dei vaccini attuali, a differenza delle infezioni naturali,  è quello di essere scarsamente capaci dare una protezione adeguata nei confronti di ceppi dalle caratteristiche antigeniche diverse per mancanza della cosiddetta immunità eterosubtipica, che sembra essere mediata dai linfociti di tipo T.  

Un esempio è fornito da quanto successo durante l' inverno del 1957 nella città di Cleveland, quando è stata colpita dal virus pandemico H2N2, la cosiddetta asiatica. Dall' analisi degli archivi storici è risultato che solo il 5,5% degli adulti che si erano ammalati di influenza negli anni precedenti contraevano il nuovo virus, mentre nel caso dei bambini questo avveniva nel 55,2% dei casi.

Eppure il virus H2N2 era del tutto cambiato rispetto all' H1N1. Per spiegare questo fenomeno si è ipotizzato che nel corso degli anni e a seguito di ripetute infezioni, l' organismo sviluppi sistemi difensivi di tipo umorale e cellulare che proteggano nei confronti di ceppi emergenti.

Un fenomeno simile a quello del 1957 si è verificato con l' ultima pandemia, in cui si è constatato che non solo gli anziani si sono ammalati in misura estremamente bassa, questo grazie alla presenza di anticorpi legati al ricordo immunologico di periodi in cui circolava un virus antigenicamente simile ( il virus pandemico del 2009 presenta importanti analogie con il virus del 1918), ma anche molti adulti nati dopo gli anni 50 sono stati risparmiati. Anche per questi si è ipotizzata la presenza dell' immunità eterosubtipica, che è stata confermata anche in un brillante modello sperimentale: l' infezione dei maialini d' India con un ceppo di H1N1 stagionale ha conferito una protezione nei confronti di una successiva inoculazione del virus H1N1 pandemico. Gli animali avevano minore presenza di virus nel tratto respiratorio e tendevano a essere meno contagiosi nei confronti di altri animali. Un risultato simile si è ottenuto con una precedente infezione con il virus H3N2.

Questo tipo di immunità è diretta contro componenti del virione diversi dalle proteine di superficie HA e NA che sono molto variabili non solo tra diversi sottotipi, ma anche tra le stesse linee genetiche in tempi diversi. L' immunità eterosubtipica è rivolta invece verso componenti interne del virione, più stabili e comuni tra virus di diversa origine e permette di difenderci anche nei confronti di varianti di nuova emergenza. L' infezione naturale sembra in grado di dare questo tipo di protezione così come è probabilmente avvenuto con il virus pandemico H1N1-pdm09, a differenza dell' immunità indotta dai vaccini tradizional.

Durante la pandemia del 2009, la precedente vaccinazione con i virus stagionali non ha fornito nessuna protezione o, addirittura, è risultata controproducente ( solo uno studio ha mostrato un effetto protettivo).

Il vaccino basato su virus vivi somministrati con spay nasale (LAIV) avrebbe invece dimostrato di conferire protezione anche di tipo eterosubtipica, ma ha il limite di avere dimostrazioni di efficacia solo nella popolazione pediatrica.

 Il problema non è solo nei riguardi della comparsa periodica di nuovi ceppi driftati, ma anche di quelli con sostanziali mutazioni, frutto di un profondo riassortimento tra ceppi di origine umana, suina e aviaria che danno luogo alle emergenze pandemiche, che si manifestano ogni 10-40 anni.

Uno studio comparso su PLoS ONE  ha studiato quale potrebbe essere l' impatto della immunità naturale e di quella indotta dai vaccini nei confronti di un ceppo potenzialmente pandemico e la conclusione è che solo un vaccino di tipo universale sarebbe in grado di garantire una protezione adeguata in questa eventualità.

Un altra criticità emersa in questi ulti anni è la ridotta  e in qualche caso addirittura assente protezione nei soggetti che sono stati vaccinati negli anni precedenti, che hanno indotto alcuni commentatori a mettere in discussione i programmi di vaccinazione estesi all’ intera  popolazione, che sono stati adottati in paesi come gli Stati Uniti e il Canada. Sembra che i vecchi anticorpi delle persone precedentemente vaccinate neutralizzino i nuovi antigeni somministrati, impedendo loro di generare una risposta anticorpale adeguata.



Verso una vaccinazione universale


Tutti le problematicità esposte sopra sono alla base dell’ esigenza di superare i tradizionali metodi di produzione e di puntare verso nuove frontiere che permettano di creare un prodotto in grado di dare protezione prolungata nel tempo e che copra anche ceppi diversi, frutto di riarrangiamenti minori e maggiori, questi ultimi possibili cause di pandemia.

Sono diversi i filoni di ricerca ma il principale è quello che si riferisce all’ isolamento e alla generazione di anticorpi rivolti contro la parte più stabile dell’ emagglutinina.  L’ HA, insieme con  la neuraminidasi (NA), è il principale antigene di membrana del virus influenzale ed è costituito da tre catene intrecciate (trimero) che si proiettano dalla membrana cellulare con un aspetto simile ad un fungo. Ogni monomero di questo trimetro (HA0) è successivamente spaccato dalle proteasi in due unità HA1 e HA2. L’ unità HA1 è quella che  costituisce la testa del fungo e contiene i siti che si legano ai recettori delle cellule ospiti. HA2 invece forma il fusto che tiene ancorata la proteina alla membrana del virus. La prima è caratterizzata da una grande variabilità, in quanto gli anticorpi prodotti dal nostro sistema immunitario sono indirizzati principalmente contro questa componente, per cui subisce continue variazioni per eludere le nostre difese. La seconda è invece meno esposta e più stabile nel tempo e da vari gruppi di ricerca sono stati isolati anticorpi che sono in grado di conferire una protezione a più ampio spettro, proprio usando come bersaglio questa parte della proteina di superficie. Le metodiche di isolamento sono complesse e  consistono nell’ utilizzo delle librerie anticorpali espresse su fagi, anticorpi monoclonali ricavati da plasmablasti o plasmacellule  o ibridomi di cellule di memoria di tipo B. Molti studi hanno messo in luce che tali anticorpi sono indotti nell’ animale e nell’ uomo sia dall’ infezione naturale che dalla vaccinazione.  Sono stati scoperti anticorpi in grado di riconoscere parti comuni a uno o all’ altro dei due principali gruppi di virus di tipo A, a entrambi i gruppi e taluni rivolti anche verso virus di tipo B. Altri anticorpi con funzione di ampia copertura sono rivolti verso parti della testa dell’ HA che non sono sito di legame recettoriale. Questi studi hanno dimostrato che anticorpi rivolti contro parti non variabili del fusto e della testa dell’ HA possono essere indotti dalla vaccinazione stagionale o dall’ infezione sia con virus H5N1 sia H1N1 pandemico.

Altre strategie che sono oggetto di studio e che possono essere promettenti per lo sviluppo di un vaccino universale sono la stimolazione di anticorpi contro altri componenti del virus, come le proteine NA di superficie e M2 di membrana o l’ utilizzo di altre metodiche che fanno ricorso ai ricombinanti veicolati da vettore, ai vaccini a DNA,  ai Virus Like Particle (VLP), ai vaccini monovalenti a bassa replicazione basati su delNS1-H1N1, ai vaccini a peptici sintetici, allo sviluppo di adiuvanti maggiormente efficaci.

Tutte queste tecnologie, benché promettenti, richiederanno ancora lunghi studi di tipo preclinico e clinico per chiarire i meccanismi molecolari coinvolti e per dissipare timori di possibili effetti avversi legati al loro uso.



Nel frattempo gli attuali vaccini influenzali mantengono un buon profilo di efficacia e di sicurezza ed è bene che il loro utilizzo continui ad essere incoraggiato quale migliore arma disponibile per contrastare la minaccia rappresentata dal virus influenzale. Ma è giusto anche considerare che è passato quasi un secolo dalla nascita dei primi vaccini e le tecniche di produzione legate ai sistemi tradizionali di coltura non si sono sufficientemente evolute e non hanno tratto profitto dalle nuove frontiere della biotecnologia. Vanno accolti favorevolmente  i nuovi vaccini cresciuti su cellule animali, quelli basati su virus vivi da somministrare per via nasale e i vaccini quadrivalenti ma è ora che si apra una nuova era che ci permetta di far fronte con maggiore forza  alle sempre nuove sfide che l’ influenza pone per l’ umanità. 














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