La stagione 2014-15 che sta giungendo a conclusione si è rivelata una delle più severe degli ultimi anni e
questo è in parte dovuto all’ emergenza di un ceppo non previsto dalle delibere
dell’ OMS, che ha determinato una scarsa efficacia del vaccino proposto quest’
anno. Al vaccino influenzale va riconosciuto senz’ altro il merito di porre un
argine importante a quello che è il
pesante impatto dell’ influenza sulla popolazione, ma nel corso degli anni sono
emerse numerose criticità che fanno
capire che è probabilmente giunto il
momento di esplorare altre strade.
Alcuni
studi recenti hanno messo in discussione il ruolo delle campagne di vaccinazione basate sulla proposta dei
vaccini tradizionali e che vedono come target le persone anziane e quelle
appartenenti alle categorie a rischio. Osterholm nel 2011 ha pubblicato una
meta-analisi che ha messo al setaccio più di 5000 studi pubblicati dal 1967 in
avanti e ha trovato che solo 31 di questi forniscono prove convincenti dell’
efficacia dei vaccini antinfluenzali, ma queste riguardano solo categorie come
i giovani adulti ( 18-65) e non i soggetti anziani e i bambini, almeno per il
vaccino iniettivo. Per il vaccino basato su virus vivi da somministrare per via
nasale, 10 RCT dimostrano un’ efficacia dell’ 83%, ma solo nei bambini di età
compresa tra 6 mesi e 7 anni.
Il fatto è che il vaccino dell’ influenza, a
distanza di quasi 80 anni dalla realizzazione dei primi prototipi, non ha avuto
un’ evoluzione che permettesse di rispondere pienamente alle sfide
rappresentate da un virus che fa delle continue variazioni e riarrangiamenti i
suoi punti di forza.
Dati
storici
L’
influenza è una malattia che ha un impatto severo sulla popolazione e si stima che
provochi, solo in Italia, una media di 8000 decessi all’ anno, in particolare tra i soggetti
anziani e fragili. Da 5 anni è in circolazione il nuovo virus H1N1 che ha per
target la fascia di popolazione tra i 40 e i 60 anni, anche se ci sono segnali
che stia lentamente spostando il suo raggio d’ azione verso le persone di età
più avanzata. E’ dai tempi della grande pandemia del 1918 che si è cercato di mettere a punto sistemi efficaci per combattere la malattia, ma solo dopo che è
stato scoperto il virus, dapprima nei suini e poi nell’ uomo, nei primi anni
30, che si sono iniziati a sperimentare i primi vaccini. Il primo a realizzare un vaccino, del tipo vivo attenuato, è stato Smorodintseff nel 1936, che sarà poi
utilizzato in Russia per 50 anni, ma che presentava vari problemi quali
instabilità, rischio di ricombinazione con ceppi selvaggi, preesistente
immunità che ne riduceva l’ efficacia. Il primo vaccino inattivato è stato
realizzato negli USA nel 1938 da Thomas
Francis e da Jonas Salk ( che metterà poi a frutto tali studi per realizzare il
vaccino contro la poliomielite), ottenuto da un ceppo denominato PR38, isolato
a Portorico nel 1934, fatto proliferare
nella cavità allantoidea delle uova embionate di gallina e successivamente
disattivato con formalina, destinato alle truppe impegnate sui vati fronti di
guerra. Il primo vaccino inattivato era
monovalente ( tipo A) e nel 43, dopo la scoperta del ceppo B, divenne
bivalente. Nel 1947, dopo alcuni anni di risultati soddisfacenti, ci fu un calo
di efficacia che venne attribuito, grazie alle prime indagini microbiologiche
disponibili all’ epoca, a una modifica del ceppo per quello che in gergo
tecnico viene definito drift. I virus influenzali sono soggetti a modifiche estese
(shift) che danno origine a nuovi ceppi pandemici e a drift, che sono
cambiamenti minori, ma comunque in grado di evadere la risposta anticorpale
indotta da precedenti infezioni o vaccinazioni, da cui deriva la necessità di
riformulare periodicamente i componenti del vaccino.
Dopo
la pandemia del 1957, venne aggiornata la nomenclatura del virus, passando dal
sottotipo H1N1 all’ H2N2 - un’ altro cambiamento importante avverrà nel 1968
con l’ entrata in scena del virus H3N2 - e si iniziò a proporre annualmente un
vaccino che tenesse conto delle variazioni continue dei virus sia di tipo A che
B. Nel 1978, con il ritorno in circolazione del virus H1N1, forse sfuggito ad
un laboratorio dell’ ex Unione Sovietica, il nuovo ceppo venne stabilmente
aggiunto dando inizio alla presente era del vaccino trivalente.
Tradizionalmente
vengono usate le uova di gallina come terreno di coltura per lo sviluppo dei
vaccini. I ceppi devono poter crescere rapidamente senza determinare un’
immediata morte cellulare ed essere portatori degli antigeni di superficie
emagglutinina (HA) e neuraminidasi (Na) dei virus candidati per il vaccino. Per
far questo si utilizzano in genere i ceppi ricombinanti 6:2, che hanno le
6 proteine interne ricavate dal virus
PR38 o altri simili, a cui vengono aggiunte le proteine di superficie dei ceppi
selvaggi verso cui si vuole dare protezione. Per far questo, in un primo tempo
si sono utilizzate tecniche di riassortimento, co-infettando le stesse cellule
con i diversi tipi di virus in modo che avvenisse lo scambio di materiale
genetico e più recentemente con il metodo della reverse genetic, attraverso cui
è possibile inserire uno specifico gene all’ interno del genoma virale ottenendo risultati più precisi.
I
componenti virali ricavati dalle uova devono essere purificati per limitare gli
effetti avversi legati ai componenti del terreno di coltura. Le prime tecniche
di purificazione impiegavano l'assorbimento del virus tramite i globuli rossi
di pulcino a 4 °C e poi l'eluizione a 37 °C, ma il risultato non era ottimale.
Tecniche successive si sono avvalse
della centrifugazione differenziale ad alta velocità del fluido
allantoideo per separare il virus dai contaminanti solubili, mediante
sedimentazione. Questo approccio è stato poi perfezionato con metodiche che
utilizzano il gradiente di densità, in cui il virus viene centrifugato ad alta
velocità in un gradiente di saccarosio o con la centrifugazione a flusso
continuo.
Dal
2007, alle colture nelle uova embrionate si è aggiunta la possibilità di far
crescere i virus nelle linee cellulari di mammiferi, come le cellule VERO (
scimmia) e MDCK ( cane) e vaccini così
prodotti hanno avuto l’approvazione dell’ Ente Europeo per i Farmaci (EMA).
Questo sistema ha il vantaggio di non
dipendere dalla fornitura di uova, che possono essere carenti a causa delle
epidemie che in maniera ciclica colpiscono gli allevamenti e di evitare
reazioni allergiche, ma le tecniche di produzione non sono semplici e al
momento questo tipo di vaccini copre solo una quota marginale del mercato.
Uno
dei problemi maggiori delle attuali strategie di produzione sono i lunghi tempi
di attesa richiesti per rendere effettivamente disponibili i preparati
commerciali. I ceppi che entreranno a far parte della composizione dei vaccini,
distribuiti agli inizi della stagione, vengono deliberati da un’ apposita
commissione dell’ OMS, sulla base dei dati di sorveglianza mondiale, nei mesi
di febbraio e settembre rispettivamente
per l’ emisfero nord e sud, con largo anticipo rispetto all’ inizio effettivo
della stagione. In questo lungo periodo il virus può subire dei drift che
rendono meno efficace o talvolta vanificano la protezione nei confronti delle
nuove varianti. E’ quanto sta succedendo nell’ ultima stagione, in cui in varie
aree del mondo i virus in circolazione del sottotipo H3N2 non corrispondono a
quelli presenti nel vaccino deciso per quest’ anno e una minore protezione e un
maggior impatto in termini di morbilità e mortalità, soprattutto a carico della
popolazione anziana, sono stati rilevati in Nord America, Europa e Asia.
I
ceppi di tipo B sono stati a lungo considerati meno severi e meno soggetti a
variazioni significative, ma in realtà i dati di sorveglianza hanno mostrato
che non è così .
Inoltre, se è vero che questo tipo di virus non è mai risultato essere all’
origine di eventi pandemici, in alcune stagioni sono risultati essere i virus
prevalenti, come è avvenuto durante l’ inverno 2005-06 in Europa.
Durante
gli ultimi 25 anni si sono affermate due distinte linee di influenza B. Nel
1987 ha fatto la sua comparsa il virus B/Victoria/2/87 che ha dominato fino al
1990, quando per la prima volta si è manifestato il virus B/Yamagata/16/88. Da allora
si è verificata una sostanziale co-circolazione dei due virus, talvolta con una
prevalenza dell’ uno rispetto all’ altro, talvolta con una simultanea
circolazione, rendendo difficile e spesso errata la previsione del ceppo da inserire nel vaccino. Tra il 2000 e
il 2007 sono stati riportati casi di mancata corrispondenza tra il ceppo
vaccinale e quello circolante in diversi paesi, con una protezione solo
parziale nei confronti del ceppo alternativo. Negli USA tra il 1999 e il 2010 c’è
stata corrispondenza solo in 5 anni.
Questi antefatti
costituiscono la premessa alla nascita
del vaccino quadrivalente, che è stato di recente approvato negli Stati
Uniti e in Europa e che l’ OMS propone come scelta valida nelle sue
raccomandazioni annuali fin dal 2013.
Un altro limite dei vaccini
attuali, a differenza delle infezioni naturali, è quello di essere scarsamente capaci dare una protezione adeguata nei confronti di ceppi dalle
caratteristiche antigeniche diverse per mancanza della cosiddetta immunità
eterosubtipica, che sembra essere mediata dai linfociti di tipo T.
Un esempio è fornito da
quanto successo durante l' inverno del 1957 nella città di Cleveland, quando è stata colpita dal virus pandemico H2N2, la cosiddetta
asiatica. Dall' analisi degli archivi storici è risultato che solo il 5,5%
degli adulti che si erano ammalati di influenza negli anni precedenti
contraevano il nuovo virus, mentre nel caso dei bambini questo avveniva nel
55,2% dei casi.
Eppure il
virus H2N2 era del tutto cambiato rispetto all' H1N1. Per spiegare questo
fenomeno si è ipotizzato che nel corso degli anni e a seguito di ripetute
infezioni, l' organismo sviluppi sistemi difensivi di tipo umorale e cellulare
che proteggano nei confronti di ceppi emergenti.
Un fenomeno simile a quello
del 1957 si è verificato con l' ultima pandemia, in cui si è constatato che non
solo gli anziani si sono ammalati in misura estremamente bassa, questo grazie
alla presenza di anticorpi legati al ricordo immunologico di periodi in cui
circolava un virus antigenicamente simile ( il virus pandemico del 2009
presenta importanti analogie con il virus del 1918), ma anche molti adulti nati
dopo gli anni 50 sono stati risparmiati. Anche per questi si è ipotizzata la
presenza dell' immunità eterosubtipica, che è stata confermata anche in un
brillante modello sperimentale: l' infezione dei maialini d' India con un ceppo di H1N1
stagionale ha conferito una protezione nei confronti di una successiva
inoculazione del virus H1N1 pandemico. Gli animali avevano minore presenza di
virus nel tratto respiratorio e tendevano a essere meno contagiosi nei
confronti di altri animali. Un risultato simile si è ottenuto con una
precedente infezione con il virus H3N2.
Questo
tipo di immunità è diretta contro componenti del virione diversi dalle proteine
di superficie HA e NA che sono molto variabili non solo tra diversi sottotipi,
ma anche tra le stesse linee genetiche in tempi diversi. L' immunità
eterosubtipica è rivolta invece verso componenti interne del virione, più stabili
e comuni tra virus di diversa origine e permette di difenderci anche nei
confronti di varianti di nuova emergenza. L' infezione naturale sembra in grado
di dare questo tipo di protezione così come è probabilmente avvenuto con il
virus pandemico H1N1-pdm09, a differenza dell' immunità indotta dai vaccini tradizional.
Durante la
pandemia del 2009, la precedente vaccinazione con i virus stagionali non ha
fornito nessuna protezione o, addirittura, è risultata controproducente ( solo
uno studio ha mostrato un effetto protettivo).
Il vaccino
basato su virus vivi somministrati con spay nasale (LAIV) avrebbe invece
dimostrato di conferire protezione anche di tipo eterosubtipica,
ma ha il limite di avere dimostrazioni di efficacia solo nella popolazione
pediatrica.
Il
problema non è solo nei riguardi della comparsa periodica di nuovi ceppi driftati, ma anche di quelli con sostanziali mutazioni, frutto
di un profondo riassortimento tra ceppi di origine umana, suina e aviaria che
danno luogo alle emergenze pandemiche, che si manifestano ogni 10-40 anni.
Uno studio
comparso su PLoS ONE
ha studiato quale potrebbe essere l' impatto della immunità naturale e di
quella indotta dai vaccini nei confronti di un ceppo potenzialmente pandemico e
la conclusione è che solo un vaccino di tipo universale sarebbe in grado di
garantire una protezione adeguata in questa eventualità.
Un altra criticità emersa in questi ulti anni è la ridotta e in
qualche caso addirittura assente protezione nei soggetti che sono stati vaccinati negli anni precedenti, che
hanno indotto alcuni commentatori a mettere in discussione i programmi di
vaccinazione estesi all’ intera
popolazione, che sono stati adottati in paesi come gli Stati Uniti e il
Canada. Sembra che i vecchi anticorpi delle persone precedentemente vaccinate
neutralizzino i nuovi antigeni somministrati, impedendo loro di generare una
risposta anticorpale adeguata.
Verso una
vaccinazione universale
Tutti le
problematicità esposte sopra sono alla base dell’ esigenza di superare i
tradizionali metodi di produzione e di puntare verso nuove frontiere che
permettano di creare un prodotto in grado di dare protezione prolungata nel
tempo e che copra anche ceppi diversi, frutto di riarrangiamenti minori e
maggiori, questi ultimi possibili cause di pandemia.
Sono
diversi i filoni di ricerca ma il principale è quello che si riferisce all’
isolamento e alla generazione di anticorpi rivolti contro la parte più stabile dell’ emagglutinina. L’ HA, insieme con la neuraminidasi (NA), è il principale antigene di membrana del virus influenzale
ed è costituito da tre catene intrecciate (trimero) che si proiettano dalla
membrana cellulare con un aspetto simile ad un fungo. Ogni monomero di questo
trimetro (HA0) è successivamente spaccato dalle proteasi in due unità HA1 e
HA2. L’ unità HA1 è quella che costituisce
la testa del fungo e contiene i siti che si legano ai recettori delle cellule
ospiti. HA2 invece forma il fusto che tiene ancorata la proteina alla membrana
del virus. La prima è caratterizzata da una grande variabilità, in quanto gli
anticorpi prodotti dal nostro sistema immunitario sono indirizzati
principalmente contro questa componente, per cui subisce continue variazioni
per eludere le nostre difese. La seconda è invece meno esposta e più stabile
nel tempo e da vari gruppi di ricerca sono stati isolati anticorpi che sono in
grado di conferire una protezione a più ampio spettro, proprio usando come
bersaglio questa parte della proteina di superficie. Le metodiche di isolamento sono complesse e
consistono nell’ utilizzo delle librerie anticorpali espresse su fagi,
anticorpi monoclonali ricavati da plasmablasti o plasmacellule o ibridomi di
cellule di memoria di tipo B. Molti studi hanno messo in luce che tali
anticorpi sono indotti nell’ animale e nell’ uomo sia dall’ infezione naturale
che dalla vaccinazione. Sono stati
scoperti anticorpi in grado di riconoscere parti comuni a uno o all’ altro dei
due principali gruppi di virus di tipo A, a entrambi i gruppi e taluni rivolti
anche verso virus di tipo B. Altri anticorpi con funzione di ampia copertura
sono rivolti verso parti della testa dell’ HA che non sono sito di
legame recettoriale. Questi studi hanno dimostrato che anticorpi rivolti contro
parti non variabili del fusto e della testa dell’ HA possono essere indotti
dalla vaccinazione stagionale o dall’ infezione sia con virus H5N1 sia H1N1 pandemico.
Altre
strategie che sono oggetto di studio e che possono essere promettenti per lo
sviluppo di un vaccino universale sono la stimolazione di anticorpi contro
altri componenti del virus, come le proteine NA di superficie e M2 di membrana
o l’ utilizzo di altre metodiche che fanno ricorso ai ricombinanti veicolati da
vettore, ai vaccini a DNA, ai Virus
Like Particle (VLP), ai vaccini monovalenti a bassa replicazione basati su
delNS1-H1N1, ai vaccini a peptici sintetici, allo sviluppo di adiuvanti maggiormente
efficaci.
Tutte
queste tecnologie, benché promettenti, richiederanno ancora lunghi studi di
tipo preclinico e clinico per chiarire i meccanismi molecolari coinvolti e per
dissipare timori di possibili effetti avversi legati al loro uso.
Nel frattempo gli attuali
vaccini influenzali mantengono un buon profilo di efficacia e di sicurezza ed è
bene che il loro utilizzo continui ad essere incoraggiato quale migliore arma
disponibile per contrastare la minaccia rappresentata dal virus influenzale. Ma
è giusto anche considerare che è passato quasi un secolo dalla nascita dei primi
vaccini e le tecniche di produzione legate ai sistemi
tradizionali di coltura non si sono sufficientemente evolute e non hanno tratto profitto dalle
nuove frontiere della biotecnologia. Vanno accolti favorevolmente i nuovi vaccini cresciuti su cellule
animali, quelli basati su virus vivi da somministrare per via nasale e i
vaccini quadrivalenti ma è ora che si apra una nuova era che ci permetta di far
fronte con maggiore forza alle sempre
nuove sfide che l’ influenza pone per l’ umanità.
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