Era la metà di giugno del 2012 quando Ali Mohamed Zaki,
virologo egiziano che lavorava presso l’ ospedale Dr Soliman Fakeeh a Jeddah,
in Arabia Saudita, riceve una telefonata da un medico preoccupato perché un
uomo entrato in ospedale aveva i sintomi di una grave polmonite virale
complicata da insufficienza renale acuta. Il dott Zaki, dopo aver prelevato un
campione dal paziente, esegue i test tradizionali, senza però riuscire ad
identificare l’ agente causale. Decide allora di inviare il campione al centro
medico Erasmus a Rotterdam, dove lavora l’ amico Fouchier. Nel frattempo compie
un altro test e, questa volta, riesce ad identificare il virus come
appartenente alla famiglia dei coronavirus, una categoria di virus con
componenti che vanno dagli agenti causali di comuni raffreddori alla temibile
SARS, che aveva spaventato il mondo nel 2003. A Rotterdam intanto arrivano allo
stesso risultato e scoprono che si tratta di un beta-coronavirus mai identificato in precedenza. Il 15 settembre del 2012, Zaki scrive una
nota a ProMED-mail, un sito che ha il
compito di raccogliere le notizie di malattie emergenti. La segnalazione
gli costa cara. Una settimana dopo è costretto a ritornare in Egitto, il suo
contratto con l’ ospedale rescisso, dietro pressione delle autorità saudite che
non avevano gradito la divulgazione della notizia. “Era mio dovere farla, si
tratta di un virus molto pericoloso” spiegherà poi in un intervista.
Nel frattempo al St Thomas di Londra viene ricoverato un
uomo di 49 anni originario del Qatar, trasportato fin lì in ambulanza in
condizioni molto gravi. La natura dell’ infezione risulta misteriosa. Durante
la notte, mentre si è alla ricerca affannosa dell’ origine dell’ infezione, un’
illuminazione desta le menti di due ricercatori dell’ HPA ( Health Protection Agency) che hanno la fortuna
di imbattersi proprio nel comunicato di Zaki, pubblicato quello stesso giorno.
Il giorno successivo identificano un coronavirus diverso da tutti quelli
conosciuti che potrebbe corrisponde a quello isolato in Arabia. Il
confronto delle sequenze genetiche con quelle del virus analizzato da Fouchier
rileva una corrispondenza del 99,5%. L’ HPA avvisa subito l’ OMS, che subito dopo emette un allerta globale. Questo
episodio è significativo perché ci fa comprendere l’ importanza di non tenere nascosti eventi potenzialmente
pericolosi per la salute pubblica. Purtroppo le lezioni della SARS e del
tentativo delle autorità cinesi di minimizzare la portata di quell’ evento non
sempre sono servite da monito, come vedremo anche nel prosieguo di questa
vicenda.
Ma facciamo un passo indietro. Il 20 aprile dello stesso
anno alcuni organi di stampa della Giordania riportano la notizia di 9 persone
gravemente ammalate, tra cui 7 infermiere e un dottore, tutti impiegati presso
l’ ospedale pubblico di Zarqa, una città situata a nord-est della capitale
Amman. Un’ infermiera risulta essere già deceduta. Alla fine del focolaio i
soggetti colpiti sono stati in tutto 11 ( 8 operatori sanitari e 3 famigliari)
con due decessi. La causa all' epoca era risultata misteriosa. A fine Novembre l’ OMS emette un comunicato in cui si legge
che grazie ad indagini eseguite retrospettivamente, dopo l’ isolamento del virus in Arabia Saudita,
almeno due casi giordani risultano positivi per lo stesso virus.
A quella data i casi confermati sono 9 , di cui 5 sauditi (
3 morti), due del Qatar e due, per l’
appunto, giordani.
Fu subito evidente che la malattia non aveva la tendenza di
essere così contagiosa come la Sars, altrimenti l’ annuale pellegrinaggio alla
Mecca, che in quell’ anno tenne con il fiato sospeso più di un osservatore,
avrebbe portato alla deflagrazione dell’ epidemia sia in ambito locale sia nei
paesi di provenienza dei pellegrini. La
malattia, come risultò evidente dai primi casi, si manifestava in maniera
prevalentemente sporadica ma, talvolta, anche in più soggetti in ambito strettamente
famigliare (cluster) o, come nel caso dell’ epidemia giordana, in operatori
sanitari esposti senza le dovute precauzioni. Ma la domanda che assillava molti
era quale fosse l’ origine del virus, che verrà successivamente battezzato con
il nome di Mers-Coronavirus. Un’ indicazione venne inizialmente dal fatto che
la sequenza genetica
del virus presentava analogie con un virus presente nei pipistrelli. Anche la
Sars aveva avuto origine nei pipistrelli, anche se veniva diffusa dagli
zibetti.
Intanto si continuano a segnalare nuovi casi, sia in Arabia
saudita che in altri paesi. A febbraio del 2013 si ammala un cittadino britannico di origini mediorientali che si era fermato alla Mecca per pregare
per il figlio ammalato di cancro. Quest’ ultimo viene infettato dal padre di
ritorno a Manchester e morì pochi giorni dopo. Anche una sorella del primo si
ammalò in modo lieve. In Germania, dopo un primo caso di
un paziente ricoverato proveniente dal Qatar, se ne registra un secondo a
Marzo. La maggior parte dei casi si era manifestata in Arabia Saudita, ma
le uniche, sparute notizie sono quelle diffuse dalle autorità sanitarie
saudite che si limitano a laconici comunicati sul luogo, età, presenza o
meno di fattori di rischio, inizialmente solo in lingua araba.
Agli
inizi di Maggio il solito scarno comunicato informa di ben 7 casi ( facendo
diventare 24 quelli totali dall’ inizio dell’ epidemia), di cui 5 fatali, registrati in precedenza ( non si sa quando) presso la città di Al Asha, ma
senza fornire dettagli essenziali per chiarire il contesto epidemiologico e i
rischi connessi con una così brusca impennata nel numero di casi. La comunità
internazionale si interroga sulla reale portata di questo avvenimento, che
potrebbe preludere ad una accelerazione nella progressione dell’ epidemia.
Diversi commentatori lamentano la scarsità di informazioni ricevute e la
mancanza di tempestività negli annunci, contrariamente alle regole imposte
dalle International Health Regulations. KeiJi Fukuda ( assistente del direttore
generale dell’ OMS) emette un comunicato soft nel linguaggio ma duro nel
contenuto sul comportamento reticente delle autorità saudite.
A molti sembrò di tornare ai tempi della Sars in Cina, quando le autorità di quel grande paese
avevano nascosto al mondo importanti informazioni sulle fasi iniziali
dell’ epidemia. Nei giorni successivi Ziad Memish, ministro della salute, in due comunicati a proMED-mail aggiunge altri casi e chiarisce meglio la dinamica degli eventi, che fanno riferimento ad una unica struttura ospedaliera,
che poi risulterà essere un centro di emodialisi. Un rapporto dettagliato, frutto della collaborazione di
medici occidentali e sauditi, verrà pubblicato
a giugno sul giornale NEJM
e definirà in maniera dettagliata tutti i particolari della vicenda.
Intanto altri due casi avvengono in Francia a Maggio, il
primo di ritorno da un viaggio a Dubai e il secondo un compagno di stanza inconsapevole. Sempre a maggio la Tunisia conferma il primo
caso. A giugno la stampa di casa nostra riporta con grande risalto che un
cittadino di origini giordane, appena ritornato a Firenze dopo un soggiorno
nella terra natale, viene ricoverato con polmonite e i test risultano positivi
per il nuovo virus. Altri due vengono contagiati, una bambina di 2 anni e un
collega di lavoro, in modo lieve. Le notizie sono inizialmente molto confuse,
si segnalano altri 10-12 casi che vengono successivamente smentiti. Nell’ occasione
c’ è stata parecchia confusione e comunicati discordanti che non hanno fatto
fare una bella figura al nostro paese.
Intanto si sono approfondite le conoscenze sul nuovo virus. Si è scoperto che
si lega ad una proteina chiamata DPP-4 che è presente nelle cellule di diverse
specie animali e nelle cellule non provviste di ciglia dell’ albero
respiratorio dell' uomo come pure nei reni, intestino, fegato e prostata.
Dal punto di vista epidemiologico un’ importante scoperta è avvenuta con il riscontro
di anticorpi contro il virus nei dromedari presenti in Oman e nelle isole Canarie e successivamente in Africa, indicando in questi animali il possibile serbatoio dell’
infezione e fonte principale di infezione per l’ uomo e l’ individuazione in
un tomba pipistrello della stessa sequenza genetica individuata in un soggetto che si era ammalato e
che abitava nella stessa area dove era stato catturato l' esemplare.
Durante l’ estate e l’ autunno il numero dei casi è calato
considerevolmente e anche l’ Hajj di ottobre 2013 ha avuto luogo senza grossi
inconvenienti.
Il bilancio della prima stagione non è stato drammatico, i
casi in Arabia Saudita risulteranno essere 124 a fine ottobre, 51 dei quali
fatali, in grande maggioranza persone anziane o fragili. Rimane però un interrogativo
sulle conseguenze che l’ atteggiamento poco disponibile e trasparente delle autorità saudite avrebbe potuto produrre nel
caso di un virus più minaccioso per la salute pubblica.
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