L’influenza è una malattia le cui origini risalgono a tempi certamente lontani se
già Ippocrate, 2400 anni fa, ne dava una pur sommaria descrizione. Nell’antichità ci si riferiva ad essa come ad una malattia legata all’influenza degli
astri ( obscuri coeli influenza). L’influenza si è sempre manifestata con
andamento stagionale, con anni caratterizzati da un andamento più o meno mite a
cui si intercalano anni con andamento nettamente più severo, in cui
varianti più aggressive tendono a diffondere rapidamente da una parte all’altra
del globo. Quest’ultime sono definite pandemie. La prima di cui si hanno
notizie certe risale al 1510. Da notare
che fino al secolo scorso queste erano spesso precedute da epidemie similari
nei cavalli, che probabilmente rappresentavano un importante serbatoio del
virus, data l’ampia diffusione di questa specie, ruolo ricoperto oggi dai
maiali che rappresentano spesso l’anello di collegamento tra gli uccelli ( che
sono il serbatoio principale) e l’uomo. Dai tempi in cui si è cominciata a
monitorare la mortalità nella popolazione, ci si è resi conto che nelle
stagioni in cui maggiore era la circolazione della patologia influenzale la
mortalità tendeva ad essere più elevata rispetto ai periodi in cui questo non
avveniva. Già nel 1847 William Farr, in Inghilterra, ha elaborato un sistema di
calcolo dell’ impatto dell’ influenza sulla
mortalità, che otteneva semplicemente sottraendo i morti registrati
nelle stagioni relativamente prive di circolazione a quelle rilevate nei
periodi epidemici. All’epoca non si conosceva neppure quale fosse l’agente
responsabile della malattia, non esistendo neppure il concetto di germi, che
saranno identificati solo nei decenni successivi. Il virus dell’influenza
verrà individuato prima nei maiali (1931) e poi negli esseri umani (1933).
Se
analizziamo l’andamento della mortalità generale nel corso dell’anno, così
come viene rappresentata dai grafici, notiamo che ha l’aspetto di onde con dei
picchi che corrispondono ai mesi invernali e degli avallamenti ai mesi estivi.
Nei mesi invernali la mortalità aumenta, soprattutto a carico delle fasce più
anziane della popolazione, per una serie di motivi:
-
Le basse temperature. Vi sono studi che dimostrano che il freddo è in grado di
aumentare la pressione arteriosa e l’emoconcentrazione del sangue, con maggior
rischio di fenomeni trombotici. Inoltre abbassa le nostre difese immunitarie.
-
L’ inquinamento. E’ stata documentata una relazione lineare tra i livelli di
pm10 e la mortalità.
-
L’ aumentata circolazione degli agenti infettivi, tra i quali spicca l’influenza.
A
quest’ultima, sulla scorta di ormai numerosi studi epidemiogici, è stato
riconosciuto un ruolo importante nel determinare l'eccesso di mortalità della stagione
invernale, soprattutto nelle stagioni in cui circolano ceppi originati da drift e in maniera più marcata con il sottotipo H3N2 rispetto all’ H1N1stagionale.
Se
analizziamo le tabelle di mortalità, raramente l’influenza compare come causa di
morte. Se esaminiamo ad esempio i dati Istat relativi alla popolazione italiana
nel 2011, con la diagnosi codificata di influenza che corrisponde ai codici J10
e J11 ( la seconda voce si riferisce ai ceppi di influenza non tipizzati, non
ad altri virus come ho trovato scritto nei siti della pseudoscienza) vi sono
appena 400 casi. Il fatto è che il virus si nasconde dietro molti decessi per
cause respiratorie, in cui non viene identificato o perché non viene ricercato
o perché si attribuisce il decesso a polmoniti generiche o ad altri agenti
infettivi a cui l’ influenza fa da apripista. L’ influenza si annida anche
dietro molti decessi di altra natura, in particolare le malattie cardiovascolari,
in cui il virus direttamente o indirettamente fa precipitare situazioni già
precarie per la presenza di precedenti morbilità. Sono stati elaborati metodi statistici (analisi delle serie
temporali o di regressione) che, confrontando le morti attese con quelle
osservate e apportando opportune correzioni in base all’andamento della
stagione, calcolano quante morti possano essere attribuite annualmente all’influenza. E’ così che si arriva ad una cifra media di 36000 morti negli USA e
8000 in Italia.
Espresso
in questo modo il concetto può risultare abbastanza nebuloso e di non immediata
comprensione. Ma c’è un esempio della nostra storia recente che può servire a
rendere più chiari questi concetti.
Tra
le pandemie del 20° secolo quella del 1968 è considerata la più blanda e
caratterizzata da un impatto certamente più lieve rispetto alle due che l’hanno preceduta. Lasciando stare la pandemia del 1918, che è stata forse un’
unicum nella storia di questa malattia per le sue devastanti conseguenze, la
pandemia del 1968 è stata molto più blanda di quella del 1957 (H2N2), che aveva
fatto registrare quasi 4 milioni di decessi, forse perché il virus si
presentava solo parzialmente modificato, mantenendo lo stesso tipo di antigene
neuraminidasi (N2) e cambiando solo la componente emagglutinina (H3). Fatto sta
che i contemporanei non si sono quasi accorti del suo impatto e il
bilancio finale è risultato piuttosto contenuto, paragonabile a quello dell’
ultima pandemia del 2009 e superiore a questa solo in quanto una parte più
rilevante dei decessi ha riguardato la fascia più debole degli anziani, che
nell’ultima pandemia sono stati in larga parte risparmiati.
In Italia, come è
avvenuto anche in Europa, la stagione maggiormente colpita non è stata quella
in cui ha fatto la prima comparsa il virus ma la successiva, da dicembre del
1969 alla primavera del 1970. All’epoca ero solo bambino e non ho ovviamente
ricordi relativi a quel periodo, ma ho interpellato diverse persone tra cui mio
fratello, all’epoca studente della facoltà di medicina, chiedendo loro se era
rimasta nella memoria il ricordo di un anno particolarmente severo. La risposta
è stata negativa o, come testimoniato da mio fratello, ha rievocato un anno con
tantissima influenza e tante assenze nelle aule e nei luoghi di lavoro, ma
nessuna altra conseguenza di rilievo.
Nella memoria collettiva della nostra gente non è rimasto il ricordo di una
stagione drammatica. Ebbene nel 2007, a distanza di quasi 40 anni da quegli
avvenimenti e appena 2 anni prima della pandemia del 2009, è stato pubblicato
uno studio (1) ad opera di esperti della CDC di Atlanta e membri dell’Istituto
Superiore di Sanità italiano sulla mortalità negli anni che vanno dal 1970 in
poi, in cui si è evidenziato un quadro inaspettato.
Nella curve di
mortalità si nota un anno in cui si è registrato un picco che ha oltrepassato nettamente tutti gli altri, che
corrisponde proprio alla stagione dominata dal virus pandemico. L’ eccesso di
morti rispetto alla curva basale (costruita in base all’ andamento dei periodi
in cui non circola l’ influenza) è stato pari a 20000 per cause respiratorie e
ben 57000 per tutte le cause. Una tipica stagione
influenzale dura 8-10 settimane, tradotti in cifre significa 7-800 morti in più
OGNI GIORNO. L’ aumento ha riguardato non solo la fascia di popolazione degli
anziani ma anche quella degli adulti e dei bambini. La proporzione dei
decessi nelle persone al di sotto dei 65 anni è stata 3 volte più alta rispetto a tutte le stagioni di normale epidemia.
Rispetto alla stagione che ha fatto registrare un numero di morti subito inferiore
(1974-75), la mortalità nella fascia 0-7 anni è stata 7 volte più elevata, 4
volte nelle fasce 15-44 e 45-64 e “solo” 2 volte nella fascia >65. Ci
possono essere altre spiegazioni di un numero così elevato di decessi? Non è
stato un inverno particolarmente rigido o contrassegnato da livelli di
inquinamento che possano giustificare tale differenza. Non risulta che abbiano
circolato altri agenti infettivi e comunque
non ve ne sono che possano essere associati ad un simile andamento. L’
unica “novità” della stagione è stata la circolazione di un virus influenzale
con caratteristiche mutate, anche se non in maniera sostanziale, rispetto al
precedente. Questo quadro si riferisce
non ad un periodo di arretratezza economica, anche se la differenza Nord-Sud
era probabilmente più marcata rispetto ai nostri tempi. Parliamo dell'Italia
degli anni subito successivi al boom economico, con gli iniziali fermenti
post-sessantottini che avrebbero poi aperto la strada alla stagione del
terrorismo, ma con uno stato di benessere e di sviluppo già abbastanza consolidato. Non
esisteva ancora internet, ma la televisione e la carta stampata erano mezzi che
portavano le informazioni in tutte le case. Eppure si è manifestato un evento
di tale portata senza che ci sia stata consapevolezza di quello che
accadeva e senza che sia rimasta
traccia nella memoria del nostro popolo. E’ come se tutte queste morti fossero state invisibili. Questo è un esempio, che possiamo definire limite, di quello che può
fare il virus influenzale, che ogni anno miete migliaia di vittime senza che le
persone che vivono intorno ad esse si rendano conto di quella che è la causa
sottostante: morti per polmonite, per ictus, per infarto, per complicanze del
diabete e per molte altre cause nelle quali l’influenza non è neppure
sospettata pur avendo avuto un ruolo significativo.
1) Rizzo C., Bella A., Viboud C., Simonsen L., Miller M. A., Rota M. C., Salmaso S., Ciofi degli Atti M. L. "Trends for Influenza-related Deaths during Pandemic and Epidemic Season, Italy, 1969-2001". Emerging InfectiousDiseases Vol 13, N. 5, May 2007
1) Rizzo C., Bella A., Viboud C., Simonsen L., Miller M. A., Rota M. C., Salmaso S., Ciofi degli Atti M. L. "Trends for Influenza-related Deaths during Pandemic and Epidemic Season, Italy, 1969-2001". Emerging InfectiousDiseases Vol 13, N. 5, May 2007
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