Lo scoppio dell’epidemia in Cina, nella città di Wuhan, ha spinto le autorità a prendere decisioni molto drastiche, con severe restrizioni di tutte le attività, il divieto degli spostamenti e la chiusura delle scuole. Questi provvedimenti sono stati adottati non solo nella zona colpita ma anche in tutto resto della Cina. Con il miglioramento della situazione epidemiologica nell’ultimo periodo, il blocco è stato allentato, ma le scuole sia a Wuhan che nel resto della Cina rimangono chiuse, anche se nei prossimi giorni sono programmate timide riaperture, a partire dai ragazzi delle scuole superiori. Analoghi provvedimenti sono stati presi anche nei paesi occidentali, di fronte all'ondata minacciosa, con qualche eccezione. La domanda che molti si fanno è se esiste un razionale a supporto di questo tipo di intervento. C'è innanzitutto un dato empirico: tutti noi possiamo osservare
l’effetto della chiusura delle scuole sull’andamento della curva epidemica durante le vacanze natalizie. La curva presenta una flessione, che documenta come il virus rallenti la sua corsa per poi riprendere nuovo slancio subito dopo la riapertura. Ma abbiamo anche studi scientifici, come una metanalisi del 2018 che dimostra che la chiusura delle scuole porta ad una riduzione consistente del numero di casi, con un abbassamento del 29,7% dell’entità del picco e un suo ritardo di ca 11 giorni. Bisogna però precisare che questi studi si applicano ai virus influenzali, di cui conosciamo bene le caratteristiche epidemiologiche, in particolare l’ampia diffusione in ambito pediatrico, con i bambini che si ammalano con incidenze nettamente superiori rispetto agli adulti, in quanto sono a stretto contatto tra di loro, non osservano le regole igieniche e trasmettono il virus più a lungo. Non abbiamo certezze se questo possa applicarsi anche alla Covid-19, che è un virus affatto nuovo, ma essendoci molti punti in comune sulle modalità di diffusione dei due virus, ritengo che sia stato prudente adottare quel tipo di provvedimento.
L’infezione da Covid nei bambini, in base ai dati che provengono dagli studi cinesi ma anche dalle prime osservazioni nei paesi occidentali, tende ad essere di entità modesta, sia dal punto di vista numerico, in quanto i bambini e ragazzi da o a 19 anni rappresentano appena il 2% di tutti i casi, sia dal punto di vista clinico, più del 95 % dei casi sintomatici ha un andamento blando del tutto sovrapponibile ai quadri respiratori che colpiscono comunemente questa popolazione e inoltre sappiamo che molti bambini contraggono l’infezione in modo del tutto asintomatico. Non abbiamo però dati certi sulla contagiosità, sulla capacità di trasmettere il virus ai loro contatti, in particolare in ambito famigliare. Dai dati cinesi possiamo comunque ricavare delle indicazioni. In più dell’80% dei casi i bambini si ammalano in ambito famigliare e dopo gli adulti, quindi è quasi sempre il genitore o il nonno che si ammalano per primi e che fanno ammalare il bambino e non viceversa. Un altro studio appena pubblicato ha mostrato un’incidenza di malattia nettamente più bassa rispetto agli adulti. In pratica quando l’adulto porta il virus in casa la probabilità del bambino di ammalarsi è pari ad ¼ rispetto agli adulti conviventi. Va precisato che questi dati si basano su situazioni che non corrispondono alla normalità, in quanto i bambini sono obbligati a stare a casa e non possono frequentare i loro coetanei, ma sono dati su cui dobbiamo riflettere, in attesa di studi più ampi possibilmente eseguiti in quei paesi che non hanno chiuso le scuole, come Taiwan, la Svezia, Israele o altri che si accingono ad aprirle in questi giorni.
Ci
sono degli studi anche in ambito europeo, anche se non rivolti in
maniera specifica ai bambini. Mi riferisco allo studio di Vo’Euganeo, la località che ha registrato il primo morto per covid e
una delle prime a sperimentare il blocco totale. Lo studio ha coinvolto l’85% della popolazione, ca 2800 persone, a cui è stato fatto il tampone in due distinte tornate trovando 73 soggetti positivi al primo
rilevamento e altri 8 al secondo. Non è stato travata nessuna
positività nei bambini al di sotto dei 10 anni, compresi i bambini esposti in casa ad adulti infetti. Un altro studio è quello
islandese dove è stato testato il 6% della popolazione divisa in
due gruppi: il primo costituito da casi sospetti e sintomatici il
secondo da chi aderiva in maniera volontaria o era selezionato in maniera
causale. Del primo gruppo i bambini sono risultati positivi con una
percentuale che è la meta di quella degli adulti (6,7 vs 13,7%), nel secondo nessun
bambino (ma i positivi erano molto pochi). Infine ha suscitato un
certo clamore uno studio francese che descrive un cluster di casi che ha coinvolto turisti britannici e francesi sulle Alpi, tra i quali un ragazzino francese di 9 anni che pur venendo a
contatto con 170 persone non ha trasmesso il virus a nessuno. Da
tutti questi studi, compresi quelli cinesi, ci può venire il dubbio
che i bambini, oltre ad ammalarsi in maniera più lieve, possano non
essere quei grandi untori come si sospetta, ma è necessario avere
evidenze più robuste prima di dare un via libera incondizionato alla
riapertura delle scuole.
Dati
più certi sull’incidenza della Covid nei bambini potranno venire
solo da ampi studi epidemiologici che ci dicano intanto quanti
bambini si sono infettati fino ad adesso e da un attento monitoraggio
della situazione clinica e delle positività che verranno riscontrate
al momento della riapertura delle scuole. Al momento sono pochi i
paesi che hanno lasciato le scuole aperte e nessuno ha prodotto studi
specifici che ci illustrino quale sia l’andamento nella popolazione
infantile in rapporto alla frequenza scolastica. In Svezia abbiamo
però i dati di sorveglianza pubblicati settimanalmente,
da cui risulta che l’incidenza della malattia nei bambini e adolescenti non è superiore ad altri paesi dove è stato istituito il blocco totale. In quel paese i bambini fino all’età di 15 anni frequentano regolarmente e la percentuale di positivi è pari al 2% del totale delle persone colpite.
da cui risulta che l’incidenza della malattia nei bambini e adolescenti non è superiore ad altri paesi dove è stato istituito il blocco totale. In quel paese i bambini fino all’età di 15 anni frequentano regolarmente e la percentuale di positivi è pari al 2% del totale delle persone colpite.
Si è molto parlato in questi giorni di incoraggiare la vaccinazione contro l'influenza anche nei bambini, alcuni hanno proposto di renderla obbligatoria. L’influenza
è una malattia che conosciamo molto bene e che fa ammalare
tantissimi bambini con quadri in prevalenza lievi, ma con una
percentuale non irrilevante di complicazioni e perfino di decessi,
soprattutto nei più piccoli. È questo il primo motivo per cui i
pediatri raccomandano la vaccinazione anche dei bambini sani, un
altro è quello di limitare la diffusione del virus che comporta
tantissime vittime nella popolazione a rischio e importanti costi
sanitari, sociali ed economici. Vaccinare per l’influenza
quest’anno avrà una valenza in più in quanto sarà importante
cercare di non sovrapporre gli effetti della malattia con quelli della covid, per
la quale non esiste ancora un vaccino, dal momento che circoleranno
contemporaneamente a partire dal prossimo autunno e hanno sintomi
difficilmente distinguibili.
In Italia si è già deciso che le scuole riapriranno non prima di settembre, a patto che ci sia una consistente riduzione della circolazione del virus. In quel periodo sarà importante che il rientro avvenga garantendo la massima sicurezza per i bambini, per gli insegnanti e anche per i famigliari, in particolare se appartengono a categorie a rischio. Dovrà essere riorganizzata la vita scolastica a questo fine, insegnando ai bambini le norme igieniche, permettendo una sufficiente aerazione dei locali e mantenendo temperature non troppo elevate, evitando classi affollate e limitando i contatti troppo ravvicinati. Certamente all’inizio prevarrà la paura, ma se ci si renderà conto che gli effetti della riapertura non saranno così terribili come si teme, le norme del distanziamento potranno essere gradualmente attenuate, mentre quelle igieniche e ambientali rimarranno valide anche per le altre patologie stagionali. Io credo che già nei primi mesi di questa primavera e della prossima estate si possano organizzare delle attività per i bambini, in piccoli gruppi e preferibilmente in spazi all’aperto, perché sappiamo che la diffusione del contagio avviene prevalentemente negli spazi chiusi. In questo modo si alleggerirebbe anche il carico delle famiglie, in particolare delle mamme che devono riprendere il lavoro.
Errata Corrige del 29-04
Mi è stato fatto notare, ed effettivamento ho verificato che è vero, che in Svezia i tamponi vengono fatti solo ai soggetti ospedalizzati e ad appartenenti a categorie a rischio. Pertanto i casi pediatrici segnalati nel grafico si riferiscono a bambini con quadri più severi e/0 con malattie croniche. Il dato svedese, messo in questo modo, non può dirci nulla sull'incidenza della malattia nei bambini, anche se appare comunque rassicurante per quanto riguarda il rischio (basso) di complicazioni rispetto alla popolazione generale.
Pertanto non sarebbe meglio, caro Stefano Prandoni, riaprire le scuole in questo periodo ed a tempo pieno addirittura? Imponendo la vaccinazione antinfluenzale in autunno. La sensazione è che il Cov 2, si comporti in maniera diametralmente opposta ai virus influenzatli.
RispondiEliminaIo continuo a non capire il perchè delle scuole chiuse ad oggi. Ma voi quanti bambini covid avete visto ?IO zero
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